“Il tema centrale è quello delle competenze”. Nell’introdurre l’edizione 2024 del convegno di presentazione dell’Osservatorio Family Office, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, Josip Kotlar, associate professor of Strategy and Family Business School of Management Polimi, chiarisce dalle prime battute la direzione concettuale seguita dalla ricerca giunta, quest’anno, alla quarta edizione. La necessità di professionisti che portino punti di vista innovativi e specializzati al settore va di pari passo con quella di “allargare il mercato”, ossia ampliare “l’ecosistema e il network necessari ai family office che non sono in grado di acquisire internamente ogni competenza”, rimarca Alfredo De Massis, co-direttore scientifico e chair dello Scientific Advisory Board.
E questa necessità si sposa con la crescita del settore che vede, nel censimento di quest’anno, 222 family office operativi in Italia a dicembre 2023 (tre in meno rispetto alla rilevazione dello scorso anno), di questi 113 sono single family office (sei in più rispetto al 2023), 91 multi-family office professionali (tre in meno rispetto al 2023) e 18 organizzazioni di origine bancaria che offrono analoghi servizi strutturati rivolti a più famiglie (numero invariato rispetto all’anno precedente).
Per quanto riguarda il giro d’affari, l’ultimo dato a fine 2022 indica 150,4 milioni di euro, in calo rispetto al 2021 (169,8 milioni), ma superiore ai 128 milioni del 2019 e del 2020: considerando il periodo 2017-2022, infatti, il fatturato complessivo mostra un tasso di crescita composto annuale (CAGR) dell’8,12%, molto simile al tasso di crescita del numero di professionisti cresciuti a 500 unità nello stesso lustro, principalmente impiegati nei multi-family office più grandi (il 40%), con un tasso di crescita annuo di circa l’8 per cento.
I numeri dei single family office
Sul fronte dei single family office, un dettaglio importante evidenziato da Kotlar è che questi “non sono antitetici rispetto ai family business”. Si tratta di entità differenti, per cui cambiano le logiche operative e i fattori critici di successo, tuttavia sono complementari. Questa complementarietà è chiarita dai numeri: il 54% dei single family office appartiene a famiglie che hanno ancora un family business, mentre soltanto il 29% è stato creato da famiglie che hanno ceduto, parzialmente o integralmente, l’impresa famigliare.
Si ricorda in questa sede come il fenomeno non sia recente, i primi family office sono nati negli anni 70, ma è nel decennio 2011-2020 che si è assistito al picco nella crescita di tali entità. E nell’ultima decade è aumentato anche il numero dei single family office che derivano da eventi di liquidità, “in forte crescita in Italia”.
Focus sul CEO (e sul genere)
Family business e liquidity event sono presupposti importanti per analizzare la figura del CEO nei single family office. È importante sottolineare come un notevole 76% degli amministratori delegati siano componenti della famiglia proprietaria, contro il 24% dei “CEO indipendenti”, ma è nel tratto anagrafico che emerge la differenza sostanziale tra i top manager. I CEO dei single family office senza family business tendono a essere più anziani, “suggerendo una preferenza per i leader con maggiore esperienza”. All’opposto, nel caso dei family office derivanti da eventi di liquidità i CEO sono mediamente più giovani, “riflettendo forse un dinamismo maggiore e un approccio innovativo nella gestione del nuovo capitale”. L’età media si colloca tra i 40 e i 59 anni quando sono manager indipendenti, mentre l’età è molto più distribuita (con una polarizzazione fra i 30 e gli 80 anni) quando si tratta di membri della famiglia proprietaria. Il background professionale maggiormente rappresentato è in gestione d’impresa, seguito da quello in private equity e finanza.
Resta ancora lontana, invece, la presenza di donne in ruoli apicali: soltanto l’11% dei CEO sono di sesso femminile. Ed è interessante notare come, in ogni caso, il 9% delle CEO sia membro della famiglia proprietaria, per cui il dato delle CEO indipendenti ha un’incidenza del 2% sul totale.
Lo studio indica come questo gap sia compensato da una maggiore presenza di donne nei CdA, pari al 24,5% sul totale dei membri, tuttavia anche in questo caso un numero ancora basso, e si noti come 23 CdA non hanno alcuna presenza femminile (il 33% del totale) su 69 entità che hanno un consiglio di amministrazione o un organo equivalente.
Il ruolo delle competenze
In questa evoluzione, come anticipato, si pone come centrale il tema delle competenze. Anche nella distinzione tra family office e family business. Un elemento a supporto di questa distinzione, richiamato da De Massis, è il modello della professional service firm, di cui sono esempio alcune società di investment banking, di wealth management, di private banking, società di consulenza e law firm. “Un errore frequente, segnalato da famiglie e professionisti, è applicare le stesse logiche di gestione del family business al single family office”, afferma l’esperto che rimanda anche a quanto sottolineato da Elena Zambon, presidente di Zambon Spa, nel suo intervento di apertura dell’evento quando ha rimarcato come “la grande differenza tra impresa e family office è la velocità di reazione quasi immediata rispetto alle decisioni che quest’ultimo prende. È un bene, perché si agisce in velocità ma è più rischioso perché si stravolge una strategia in poco tempo. L’impresa invece – continua Zambon –, agisce su un tempo diradato per cui una strategia ci mette anni per essere realizzata. Tra le competenze costruite nel tempo, dinamiche, abilità destrezza e sensibilità sui numeri per chi lavora in un family office diventano fondamentali”.
Da qui anche la necessità di “una rete di professionisti esterni che forniscano servizi in partnership e outsourcing”, per cui i ricercatori individuano tre caratteristiche distintive del professionista di un family office che deve essere “learning agent”, ossia agente di apprendimento continuo capace anche di trasferire alcune delle competenze ai componenti della famiglia, perché prendano decisioni consapevoli, “fiduciary guardian” per proteggere gli interessi della famiglia, e “generalist expert”, dotato di un’essenziale competenza generale su vari aspetti della gestione patrimoniale ma in grado di coordinare esperti esterni dove necessario, selezionando i più adeguati e mantenendo la visione d’insieme.