La valorizzazione del patrimonio delle fondazioni di origine bancaria al centro del convegno virtuale organizzato da Itinerari Previdenziali in collaborazione con ACRI che si è tenuto lo scorso 4 febbraio. Un tema dominante, data la caratteristica precipua di questi investitori istituzionali che, diversamente da fondi e casse, non prevedono entrate contributive e fanno affidamento, appunto, sulla valorizzazione del patrimonio finanziario di cui dispongono. “Valorizzare il patrimonio vuol dire riuscire a fare due cose: avere la capacità di conservare prudenzialmente ma con attenzione alla crescita le risorse che le comunità hanno generato e, contemporaneamente, utilizzare queste risorse a beneficio integrale di queste comunità” afferma Giovanni Azzone, presidente di ACRI in apertura del convegno, sottolineando come le fondazioni abbiano “la capacità di attivare altri patrimoni in un approccio generativo per farli confluire su progetti comuni”.
I numeri
E alla luce della crescente ampiezza dei “progetti comuni” le fondazioni mettono in campo un patrimonio che, a fine 2023, ammontava a 48,55 miliardi di euro, secondo i numeri presentati da Michaela Camilleri, del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, un dato che ha ripreso a crescere nell’ultimo triennio dopo aver raggiunto il picco nel 2010 (quando il totale attivo era di 59,5 miliardi), mentre “dal 2011 al 2020, periodo di crisi finanziaria iniziata nel 2008, a cui è seguita la crisi legata alla pandemia, il valore del patrimonio si è ridotto”. Va anche sottolineato, prosegue Camilleri, “che tra il 2000 e il 2023 le fondazioni hanno erogato oltre 27 miliardi e accantonato risorse per circa 5 miliardi per l’attività di erogazione futura”. In termini di gestione dell’investimento poi, queste entità fanno “un ricorso sempre meno frequente alle gestioni patrimoniali con una tendenza sempre più diffusa a utilizzare veicoli dedicati” commenta ancora l’esperta. L’utilizzo di piattaforme dedicate a una o più fondazioni è passato dal 27,7% del 2017 al 37,4% attuale, mentre il ricorso ai mandati di gestione è decresciuto nello stesso periodo dal 2,7 allo 0,6 per cento.

Evoluzione che emerge chiaramente nella scelta di Fondazione Perugia, che a maggio del 2020 ha creato un fondo dedicato (Pinturicchio) in cui ha investito la maggior parte delle risorse finanziarie. La creazione del fondo di diritto lussemburghese, spiega il direttore generale Fabrizio Stazi, “ci ha permesso, innanzitutto, di stabilizzare l’avanzo di esercizio (perché il conto economico non risente più dell’andamento di mercato), ha garantito un’ottimizzazione fiscale (perché paghiamo le imposte soltanto sull'effettiva distribuzione e non sul maturato), oltre a garantire un notevole risparmio a livello di commissioni e costi di gestione”.
Fondazioni a confronto
L’attività delle fondazioni, e l’impegno finanziario anche in termini di diversificazione risponde, secondo quanto commenta Giorgio Righetti, direttore generale ACRI, alla necessità di bilanciare in sintesi due specifiche esigenze, ossia valorizzazione e conservazione del patrimonio: “Due esigenze diverse e con orizzonti temporali differenti”, nel cui ambito, come riporta Antonella Ansuini, responsabile investimenti e gestione finanziaria Fondazione Cariparo, interviene un “discorso di equità generazionale”. Per una politica di spesa sostenibile occorrono, a detta dell’esperta, potenza (investimenti) protezione (dai rischi “con l’investimento in beni reali e obbligazioni”) e flessibilità (“serve diversificazione, allocando una parte significativa in strategie con beta basso e decorrelate, come hedge fund e strategie a ritorno assoluto”). Una volta disegnata la strategia di lungo periodo, “con un esercizio di pianificazione finanziaria”, occorre “individuare il livello di esborsi medi annuali sostenibili, dato il rendimento medio anno del portafoglio, atteso su un orizzonte di tre o cinque anni”.
La riflessione richiama anche il fondo di stabilizzazione delle erogazioni, e Marco Forte direttore generale Fondazione MPS, ricorda che “redditività adeguata e conservazione del patrimonio sono entrambi obiettivi raggiungibili quando la redditività è tale da poter fare accantonamenti in grado di proteggere il patrimonio (in termini reali, ossia dall’inflazione) oltre che assicurare un’adeguata politica erogativa”. Forte ricorda come questo sia più difficile in fasi di volatilità (“si pensi al 2022”) e sottolinea che “una normativa che indicasse soltanto dei limiti minimi di accantonamento ma non dei limiti massimi potrebbe essere sicuramente utile per quanto riguarda una gestione più attenta”.
"Scienza e arte"
Un misto di “scienza e arte”, infine, è quanto richiama Matteo Franchetto CFO Fondazione Cariverona nel definire l’attività di investimento della fondazione. Dopo aver risposto a una serie di passaggi (“capire il livello erogativo auspicabile per diversi livelli di rischio”, “definire una frontiera efficiente” e “ottimizzazare queste informazioni per determinare la composizione di portafoglio necessaria ad avvicinarsi all'obiettivo erogativo”), la parte “artistica” del discorso è legata più alla comprensione di “quando ci si può permettere di erogare di più e quando si deve erogare meno e farlo capire anche agli stakeholder”. La fondazione, conclude Francetto, “risolve questo rompicapo combinando due soluzioni”, in primis attraverso il già citato modello del fondo dedicato, in secondo luogo, “sfruttando la possibilità contabile di fare degli accantonamenti a riserva negli anni migliori in modo da poter distribuire tale riserva negli anni meno buoni”.