Nel convegno virtuale organizzato da Itinerari Previdenziali si è discusso dell’impatto del passaggio generazionale tra imprese familiari e dell’evoluzione degli investimenti, sempre più orientati agli illiquidi (ma non tutti).
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Entro il 2030, si assisterà a un trasferimento di ricchezza pari a 18 mila miliardi di dollari a livello globale. La cifra arriverà a 84 mila miliardi di dollari entro il 2045. “Nel nostro Paese le cifre sono più contenute: si parla di 3.800 miliardi di euro nei prossimi 30 anni ma c’è chi parla di circa mille miliardi entro il 2045”. A definire il perimetro del cosiddetto “great wealth transfer” è Gianmaria Fragassi, del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziale che, numeri alla mano, introduce il campo di azione di alcune tra le entità che saranno protagoniste della gestione di questo “trasferimento”: i family office.
L’occasione è appunto l’evento online organizzato da Itinerari, “Nuove forme di investimento come soluzione al grande trasferimento della ricchezza”, in cui gli stessi protagonisti del settore hanno delineato le caratteristiche non soltanto del mercato, ma (come da prassi soprattutto nel caso dei family office) degli stessi investitori, che mantengono nel DNA la propria vicinanza alla “vocazione industriale”. Il passaggio generazionale, è il cuore del discorso. Il movimento in atto a dai Baby Boomer in favore di Generazione X e Millennials (e si assiste all’ingresso anche della GenZ), per cui “le nuove generazioni imporranno inevitabilmente anche alla gestione degli investimenti nuove esigenze e tutto ciò andrà tradotto anche in nuovi prodotti”.
Il perimetro d’azione
A dettagliare il perimetro d’azione dei family office è Carlo Salvato docente dell’Università Bocconi, dean of the Graduate School, deputy rector, che dai dati dell’Osservatorio Aidaf-Bocconi (che analizza le imprese italiane con oltre 20 milioni di fatturato, di queste il 67,2% sono aziende familiari) rileva l’impatto del passaggio generazionale sulla performance delle imprese familiari italiane. Un primo elemento interessante è l’accelerazione del passaggio generazionale rilevato negli anni: una media di 127 all’anno fra il 2013 e il 2019 (1,5% annuo), rispetto a 181 all’anno nel triennio 2019/2022 (2,1% annuo) “l'impatto del passaggio generazionale è stato positivo su tutte le misure di performance”, afferma Salvato che, tra gli altri elementi indicativi di performance, individua il livello di istruzione (circa il 70% ha almeno una laurea di I livello), con percentuali e titoli superiori tra i manager esterni e tra le donne (nel caso in cui il manager resti interno alla famiglia).

Il valore dell'istruzione
A questo si somma un altro elemento: l’esperienza lavorativa (soprattutto internazionale) e la preparazione universitaria che amplificano l’impatto positivo sulle performance. Altro dato da tenere d’occhio è l’apertura del capitale, operazione effettuata dall’8% delle aziende familiare che rientrano nel campione di analisi dell’osservatorio. Dall’analisi di tre diverse forme di apertura di capitale (quote di minoranza, cessione del controllo e quotazione in borsa), emerge come “nonostante la cessione del controllo a terzi sia la forma di apertura del capitale più frequente (il 5,5% sull’8% delle aziende ha ceduto oltre il 50% delle proprie quote) è quella che ha un impatto minore o nullo sulla performance aziendale”, specifica il docente. “La performance delle aziende che aprono il capitale migliora quando l'apertura del capitale è di minoranza, ancora di più quando le aziende vengono quotate in borsa”.

Movimento verso gli illiquidi
In questa fase di trasformazione Emanuela Musci, founder S&O Multi Family Office individua una serie di temi “esogeni ed endogeni” identificando nei primi il nuovo scenario in cui si trovano a operare i family office, che vede “l'ampliarsi delle geografie e delle giurisdizioni di interesse: se la G2, quella che una quarantina d'anni fa ha dato origine al family office come single ha avuto come centri di interesse Europa e Stati Uniti e così anche la G3, le G4 sotto il nostro radar (compatibilmente con il panorama geopolitico) hanno geografie di interesse più ampie e questo comporta che il family office debba superare la sfida di affinare le proprie competenze cross border”. L'altra sfida riguarda l'asset allocation “con un'attenzione maggiore verso i private asset da parte delle nuove generazioni”. Argomento condiviso anche da Andrea Caraceni, AD di CFO SIM, che nota come negli ultimi tempi “la parte illiquida del portafoglio stia aumentando in relazione a un trend di importante creazione di ricchezza da parte delle famiglie, anche come conseguenza di liquidity event” da cui emergono famiglie con “meno impresa e più soldi”.
Cambio di paradigma
Mentre Giaime Cardi senior advisor family office Banor SIM riprende il concetto delle competenze cross border collegandole all’apertura internazionale delle nuove generazioni, apertura poco presente nelle generazioni precedenti, “cambia in parte il paradigma anche di ciò di cui noi dobbiamo parlare con i nostri clienti, rientra in questo discorso anche la maggiore sensibilità verso i temi ESG”. Pur sottolineando la maggiore attenzione verso i temi sostenibili, l’analisi di Claudio Dimarco direttore Lunelli Holding si sofferma sulle conseguenze del liquidity event che sposta il focus della famiglia dall’attività imprenditoriale alla gestione del patrimonio familiare, determinando “un elemento di rottura molto molto forte rispetto al passato”. Da qui anche il ruolo delle nuove generazioni, che “interpretano in maniera più proattiva e più imprenditoriale l'attività di gestione del patrimonio: sono molto più propense a investire in capitale di rischio. Questo spiega anche la crescente allocazione che si è registrata negli ultimi anni nell'ambito degli investimenti alternativi”.
Un focus più specifico sull'asset allocation arriva da Matteo Dattilo, multi-asset portfolio manager di Aptafin, sottolinea come dopo il liquidity event l'asset allocation abbia seguito strategie diverse, e negli anni, a partire dal 2021, sono state "pian piano internalizzate le attività in ambito capital market liquido" ed è stato accelerato "il deployment di capitale sulla parte liquida investendo non solamente in fondi private equity ma diversificando in altre asset class come hedge fund, private debt e infrastrutture". "Attualmente nella nostra asset allocation sulla parte liquida vede un peso rilevante sua componente fixed income, single bond, acquistate in particolare dal 2023 in un'ottica ALM". Mentre sull'azionario l'investimento va principalmente in prodotti aggregati, con un'allocazione suddivisa principalmente "in due aree": una componente "beta" con la replica dei principali indici attraverso ETF e una ematica "dove investiamo su trend di lungo termine" dalla robotica al clean energy.
Certo è che le asset class tradizionali (in particolare l’equity) continuano a rappresentare un forte elemento di diversificazione. Ne è convinto Carlo Gentili AD Nextam Partners che si distanzia dall’interesse per gli illiquidi ed evidenzia lo sforzo maggiore quando ci si confronta con una famiglia che ha beneficiato di un evento di liquidità per convincerla “a mantenere un livello sufficientemente alto di esposizione all'equity”. Insomma, in altre parole, ripagare il mercato con la stessa fiducia perché un gestore attivo mantiene, nel tempo, “la capacità di generare alpha” con una selezione di prodotti “scevra da luoghi comuni (anche di recente creazione)”.