I tassi di interesse sono negativi ma non c’è fuga verso la liquidità

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I tassi di interesse negativi sono il nuovo territorio dell’economia, ma finora nessun segnale sembra indicare un massiccio esodo di liquidità per evitare i rendimenti sotto zero. Un tempo vigeva la regola aurea che i tassi di interesse dovessero essere positivi. L’economista Ludwig von Mises era convinto che ciò dipendesse dal fatto che le persone attribuiscono un valore più elevato ai beni di cui dispongono oggi, piuttosto che a quelli che avranno in futuro. Il tasso di interesse è una diretta conseguenza della preferenza temporale dei consumi. John Maynard Keynes spiegava i tassi di interesse in termini di desiderabilità del denaro: i tassi sono la ricompensa per chi sacrifica la liquidità. Inoltre, si riteneva che i tassi di interesse negativi avrebbero spinto gli investitori a nascondere i soldi sotto il materasso. Oggi siamo arrivati ad avere un tasso di deposito negativo nell’Eurozona, in Svizzera, in Svezia e in Danimarca, e alcune banche stanno già addebitando tassi di interesse negativi alla clientela. Eppure, le riserve di liquidità non sono cresciute in maniera esponenziale.

Il denaro in circolazione è senza dubbio aumentato ma non c'è stata una fuga verso la liquidità: nemmeno i Bund con rendimenti negativi sulle scadenze fino a sei anni sono soggetti a pressioni di vendita. Nel caso dei Bund, forse gli investitori tendono ad accettare i tassi di interesse negativi perché oltre al desiderio di generare profitti vogliono minimizzare i rischi. Questi, del resto, sono molto sicuri. “È anche possibile che gli obbligazionisti inizino a prevedere un tasso di inflazione negativo (deflazione) in grado di compensare gli interessi negativi. O forse gli investitori si aspettano che i tassi di interesse sprofondino ancor più in territorio negativo, spingendo al rialzo i prezzi delle obbligazioni. Senza contare che il quadro normativo spesso obbliga molti investitori istituzionali ad acquistare e detenere obbligazioni sicure”, commenta Asoka Woehrmann, CIO di Deutsche AWM. Cosa stiamo leggendo nel mercato in questi primi mesi? Che i tassi artificiosamente bassi stanno spingendo anche gli investitori più prudenti verso allocazioni a maggior contenuto azionario. “Gli investitori vedono nuovi potenziali per l’area euro e per i mercati periferici della zona euro con una preferenza verso i temi più sottovalutati e di conseguenza con più chance di recupero rispetto alle economie più mature e stabili”, dice convinto Alessandro Allegri (nella foto) amministratore delegato di Ambrosetti AM SIM. Inoltre aggiunge: “a oggi la salita è caratterizzata da una buona selettività e quindi non sembrano sussistere particolari rischi di eccesso.

Chiudono il quadro le obbligazioni caratterizzate nel trimestre da tassi al ribasso sia in USA che in Euro, in particolare sulla parte lunga della curva”. Risultati dunque complessivamente positivi seppure fortemente influenzati anch’essi dall’impatto valutario favorevole alle allocazioni extra euro. Gli specialisti, in altre parole, confermano un’elevata esposizione azionaria complessiva. “A livello di allocazione prevale il ruolo degli investimenti sulle principali macro-aree rispetto alla selezione settoriale con interventi mirati ad aumentare l’esposizione valutaria in dollari. Si segnala un’importante selettività con inserimento di investimenti specifici su azionario Italia, Spagna e Inghilterra. Sulla componente obbligazionaria al momento solo parziali aggiustamenti con una logica di controllo del rischio e significativa diversificazione”, conclude. Le conseguenze di quella che Woehrmann chiama la politica “dell’aspirapolvere” (la BCE e le banche centrali nazionali si sono impegnate ad acquistare titoli sovrani per un valore di circa 450 mld di euro) sono evidenti: i tassi di interesse restano bassi. Circa il 30% dei titoli sovrani dell’Eurozona offre tassi di interesse negativi. “L’aumento dei prezzi dei titoli più rischiosi dimostra che questa situazione ha causato movimenti evasivi tra gli investitori. Le obbligazioni societarie, i titoli immobiliari e le azioni con rendimenti allettanti attirano l’interesse degli investitori. Il calo generalizzato dei rendimenti innescato dal QE incide anche sull’economia reale: con i tassi di interesse a livelli così bassi le aziende dovrebbero essere più propense a contrarre debiti per investire, con possibili conseguenze positive per le prospettive di crescita dell'Eurozona”.