Un report di UBS AM e Planet Planet Tracker si concentra sulle possibili conseguenze negative sul capitale naturale di solare, eolico e bioenergia.
La transizione energetica è processo indispensabile per limitare le emissioni di anidride carbonica e garantire la sicurezza energetica e la sostenibilità economica dei Paesi. Ma non è esente da rischi. Anche per la natura. In un nuovo report intitolato “Climate meets nature”, UBS Asset Management e Planet Tracker forniscono una guida pratica agli operatori del settore su come valutare gli impatti sulla natura delle soluzioni per la transizione energetica globale. I risultati e la guida sono rivolti sia ai mercati pubblici sia a quelli privati e sono stati concepiti per aiutare investitori e singole aziende a implementare due diligence e metriche più solide per gli investimenti legati alla transizione.
Il report si concentra su tre tecnologie essenziali nella transizione energetica: solare, eolica e bioenergia. “Gli investitori dovrebbero considerare il costo-opportunità e i compromessi tra i benefici della transizione energetica e gli impatti negativi sulla natura derivanti da queste fonti energetiche. Comprendere i rischi bidirezionali per la natura e per i portafogli e gestirli sarà fondamentale per creare valore”, spiegano da UBS AM.
Secondo il report emerge che gli impatti e le connessioni legati alla natura sono “complessi, specifici per ciascun luogo e non facilmente sostituibili, anche all'interno di una stessa azienda”. E che le fonti energetiche basate sui combustibili fossili hanno ancora un impatto complessivo molto rilevante sull'ambiente, soprattutto se paragonate all'energia solare ed eolica. Tuttavia nessuna tecnologia per la transizione energetica è esente da impatti. “Se mal gestita, la transizione energetica può causare danni non intenzionali al capitale naturale e, di conseguenza, al clima”, spiegano dalla società.
I tre principali impatti sulla natura
I principali impatti sulla natura di solare, eolico e impianti di bioenergia secondo il report dovrebbero essere valutati in tre ambiti: utilizzo del suolo, perdita di habitat e gestione dei rifiuti.
- Uso del suolo e gestione del terreno. “L'alta densità energetica dei combustibili fossili fa sì che la loro sostituzione con le nuove tecnologie energetiche richieda una quantità di terreno significativamente maggiore. Questo vale per i parchi solari ed eolici e per la produzione di materie prime per biocarburanti, che hanno un impatto sulla natura locale”, dicono da UBS AM.
- Perdita di habitat e danni derivanti dall'estrazione di materie prime e dal loro utilizzo. Secondo la Energy Transitions Commission, tra il 2022 e il 2050 la transizione energetica potrebbe richiedere la produzione di 6,5 miliardi di tonnellate di materiali per uso finale. “Ciò chiederà di garantire che l'estensione delle attività estrattive avvenga in modo sostenibile e responsabile per la natura”, affermano dalla casa di gestione.
- Gestire l'input e l'output dei rifiuti. Le nuove tecnologie energetiche rappresentano un'opportunità per utilizzare i rifiuti come materia prima energetica. “Le sfide associate alla contabilizzazione delle emissioni di carbonio, in cui le emissioni e il valore dei cosiddetti rifiuti e materie prime residue sono spesso sottostimati, possono però comportare rischi per il clima e la biodiversità. D'altro canto, ci troveremo di fronte a una sfida quando le apparecchiature dei parchi solari ed eolici giungeranno al termine della loro vita utile, come le circa 14 mila pale di turbine eoliche a livello globale che dovranno essere smantellate nei prossimi due o tre anni”, osservano da UBS AM.