In questo documento, quanto mai attuale, Terzani – l’ultimo Terzani, quello che ha prodotto due grandi opere quali “ultimo giro di giostra” e “la mia fine è il mio inizio” – in un botta e risposta con Bertolini forniva utili spunti di riflessioni su tematiche in fondo sempre attuali: Crescita e sviluppo: “Tutto lo sforzo […]
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In questo documento, quanto mai attuale, Terzani – l’ultimo Terzani, quello che ha prodotto due grandi opere quali “ultimo giro di giostra” e “la mia fine è il mio inizio” – in un botta e risposta con Bertolini forniva utili spunti di riflessioni su tematiche in fondo sempre attuali:
- Crescita e sviluppo: “Tutto lo sforzo economico moderno è fondato sul concetto che lo sviluppo economico è crescita” viene detto. Lasciando trasparire il postulato che senza crescita non vi sia sviluppo. Condivisibile? Non necessariamente oserei dire. Terzani aggiunge infatti “Non viene mai considerato dalle teorie economiche il numero delle persone felici”. Utopistico? Forse, ma non necessariamente.
- Nuova equazione economica: sapientemente Terzani spinge il suo ragionamento oltre, sottolineando che all’equazione economica corrente manca effettivamente una piccola ma importante variabile: la felicità delle persone “percepita all’interno della cultura di cui parliamo”, dunque non univoca ed assoluta. Si ripropone in questo modo la non-universalizzazione del modello di sviluppo economico attuale. In zone diverse del pianeta, infatti, sviluppo e benessere possono non corrispondere agli stessi identici criteri di base che intendiamo noi e non per forza devono essere meno valevoli. Valorizzare il locale all’interno in un contesto di crescente globalizzazione, senza rifuggire ne l’uno, ne l’altro. Ma piuttosto valorizzando il primo all’interno di un apparente inevitabile secondo. Cercandone un sapiente equilibrio degli opposti, una possibile armonia tra elementi in apparente contrasto. In effetti, quanto conta oggi la felicità e la piena realizzazione dell’individuo pesano nell’equazione economica? Davvero solamente la crescita può portare lo sviluppo?
- Responsabilità aziendale e rispetto del contesto in cui si opera: oggi l’operare in modo “socially responsible”, o l’effettuare investimenti socialmente responsabili, sono divenuti concetti conosciuti anche dal grande pubblico, talvolta un po’ alla moda. Credo non si possa discutere sul fatto che molta attività di sensibilizzazione sia stata fatta in tale direzione negli ultimi anni. Ma qual è la connessione tra cittadino / investitore, impresa, contesto e territorio? Al di la di meritevolissime iniziative ed esempi di giudiziosa applicazione di sani principi di sostenibilità che certo non mancano (si pensi ad esempio all’iniziativa Olivetti della seconda metà del secolo scorso), quanto viene realmente fatto in aggiunta alle dichiarazioni d’intenzioni? Se diamo una veloce occhiata al settore in cui lavoro e opero da circa 20 anni, la finanza, e senza la pretesa di fare pericolose ed azzardate generalizzazioni (o banalizzazioni), si assiste spesso ad un fenomeno apparentemente contrario: fusioni, accorpamenti, razionalizzazioni, accentramenti sinergici e quant’altro, che sono di fatto portatori di istanze internazionali che, spesso, poco conoscono della territorialità e delle sue specificità. Succede sempre di più anche a Lussemburgo, il Paese dove vivo e lavoro dal 1998. Scriveva Terzani “Dobbiamo lentamente cambiare noi, perché se un’azienda è brava, si preoccupa dell’ambiente e redige anche un bilancio sociale, ma opera in un contesto che proprio non condivide nessuno di questi valori non ce la fa, verrà schiacciata”. La contestualizzazione, la presa di coscienza – e una reale partecipazione di tutti gli attori economici – aumenta certamente la chance di instaurare un circolo virtuoso. Utopistico? Forse. Ma non per questo non vale la pena riproporre questa bella lettura, semplice ed intuitive, che invita a riflettere innanzitutto, ma anche ad agire. Ciascuno nel suo piccolo, in fondo anche l’oceano è composto da tante gocce.
- Riscoprire l’arcobaleno: questa è la bellissima frase conclusiva con cui Terzani finisce l’intervista, nello specifico. Per rigore di cronaca “Un grande manager è qualcuno capace di inventare qualche cosa di nuovo di nuovo, non qualcosa di riprodurre qualcosa di stantio, magari ripetuto”. Quale miglior modo figurativo, simbolico ma anche immaginifico di terminare un’intervista? Si può fare, si può essere diversi, magari atipici e non necessariamente omologati. Per tanti anni sono stato manager anch’io e ammetto che non è risultato sempre agevole proporre modi alternativi di risolvere problematiche correnti e rogne giornaliere. Spesso la prima reazione, quasi automatica ed epidermica, è stata la diffidenza, la chiusura e non di rado il rifiuto. “Qui si fa cosi”, oppure “Abbiamo sempre fatto in questo modo e perché ora cambiare…?” O ancora “Non abbiamo tempo adesso di provare nuove strade… dopo magari…” Chi in fondo non si è scontrato con questo tipo di atteggiamento professionale?
Dopo, non ora, non è il momento, i risultati prima di tutto, perché cambiare, perché proprio ora… ecc.. sono solo un piccolo campionario della fraseologia sovente utilizzata di fronte a una proposta di cambiamento, tutte buone e valide ragioni per cui in fondo è meglio lasciare le cose come sono. Perché provare nuove strade quando è più facile e comodo restare sui sentieri ben tracciati e conosciuti? Questo è certamente parte del tutto ma non è il tutto. L’esperienza pluridecennale mi ha personalmente insegnato – ed è forse per questo che questa intervista di Terzani mi è sembrata cosi fresca ed attuale – che un manager in fondo può davvero scoprire, o semplicemente riscoprire i mille colori e le sfumature dell’arcobaleno.
Il viaggio non sarà facile, neppure comodo, talvolta più o meno apertamente osteggiato dall’establishment e dalle regole preesistenti – che preferiscono stabilità e ripetitività piuttosto che ripensare con sguardo nuovo e trovare nuove ricette, magari anche più efficaci – ma si può fare. Magari rileggendo di tanto in tanto queste due paginette di Terzani, specificatamente rivolte al manager, al sistema economico e, in fondo, un po’ a noi tutti.