Il ritorno degli ETF sintetici

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Scott Webb, Unsplash

Tratto dalla rivista numero 26 Funds People.

A seguito della crisi del 2008, gli ETF sintetici perdevano l'interesse degli investitori che non accettavano il rischio di controparte assunto con questo tipo di veicolo. Il momento cruciale si è avuto tra il 2013 e il 2014, quando i flussi in Europa hanno iniziato a rivolgersi a quegli ETF a replica diretta. Ciò ha costretto i provider con gamme prevalentemente sintetiche a migrare le loro strategie per gestire la replica con l'unico obiettivo di non perdere asset.

È stato un movimento che ha interessato gli ETF sui principali indici azionari, molti dei quali sono passati alla replica fisica anche se le entità sono rimaste convinte che, in molti casi, quella sintetica risultava più efficiente. Ma i flussi avevano dettato un giudizio, e il cliente aveva chiuso in banda. Paradossalmente, oggi le cose sono nuovamente cambiate.

Alcuni provider di ETF stanno tornando a commercializzare prodotti a replica sintetica, e lo stanno facendo in strategie che replicano indici core, come lo S&P 500. Si tratta di una scommessa rischiosa, poiché questo tipo di prodotto concentra la maggior parte degli asset che attualmente fanno tesoro degli ETF.

Cambiamenti strutturali

In questa avventura si sono addentrate società con la maggior parte della gamma in ETF fisici, come Invesco, con la convinzione che la replica sintetica apporti più valore per determinati mercati. E lo hanno fatto cercando di risolvere gli aspetti che hanno causato la fuga da parte degli investitori. Il più importante: il rischio di default della controparte dello swap. "Precedentemente, gli ETF sintetici operavano con una banca d'investimento che fungeva da controparte. Ora, l'ultima generazione di ETF prevede tra le tre e le cinque banche per uno stesso fondo quotato. Ciò riduce significativamente il rischio", spiegano da Invesco.

Ma non è l'unica modifica apportata dai provider di ETF sintetici nella struttura del prodotto. Un'altra tocca direttamente il collaterale che viene utilizzato come garanzia in caso di inadempimento della controparte. In passato, il problema era che in caso di default, appunto, l'ETF aveva il diritto di richiedere un collaterale, processo che poteva richiedere alcuni giorni. Inoltre, tale collaterale era al di fuori degli asset dell'ETF. Provider come Invesco hanno creato un modello chiamato Unfunded Swap Structure, per il quale la banca di investimento offre un paniere sostitutivo con titoli fisici che fanno parte degli asset dell’ETF e che sono depositati in custodia indipendente, proprio come qualsiasi altro ETF a replica fisica e con un valore simile a quello dell'ETF.

Nel caso di indici altamente liquidi come lo S&P 500, l’EuroStoxx 50 o il Topix, ciò generalmente coincide con la composizione dell'indice. Ma in mercati più illiquidi o di difficile accesso, il paniere è composto da titoli molto liquidi quotati nelle principali borse del mondo. "Il rendimento in questi mercati è ottenuto tramite swap. Solo in caso di inadempimento della controparte dovremmo ricorrere a tale paniere sostitutivo. Se ciò accadesse, è probabile che ci troveremmo in uno scenario catastrofico nel quale sarebbe difficile vendere al mercato i titoli dell’ETF, per cui la soluzione migliore sarebbe che il paniere sia composto da titoli molto liquidi dei mercati azionari sviluppati", commentano dall’asset manager americano.

Ciò, a sua volta, genera un altro problema che i provider di ETF sintetici hanno dovuto risolvere: il mark to market dello swap, cioè quando tale paniere sostitutivo differisce dal valore dell’ETF. Prendiamo l'esempio di un fondo quotato in India che oggi vale 100, ma domani aumenta del 2% mentre l'indice S&P 500 (dove sono riportati i titoli del paniere sostitutivo) rimane piatto. In questo scenario, un'ipotetica bancarotta della controparte farebbe perdere al cliente un 2%. Per legge, UCITS impone che la differenza massima sia del 10%. Per un investitore questa percentuale potrebbe risultare troppo alta. Invesco l’ha ridotta allo 0,2%, il che significa che ogni volta che viene toccato quel limite lo swap si resetta. Nella pratica, ciò può accadere più volte al giorno.

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Investitori divisi

Questa nuova formula ideata dai provider di ETF sta rendendo gli investitori molto più divisi nel valutare la loro incorporazione all’interno dei portafogli. Da Invesco fanno sapere come i clienti si stanno rendendo conto che i sintetici, così come sono attualmente concepiti, hanno meno rischi rispetto al passato. “Semplicità e trasparenza sono per noi tra i requisiti indispensabili nella selezione degli ETF", afferma Luca Bonifazi, responsabile Consulenza Evoluta di UBI Top Private. "L’importante evoluzione di prodotto che l’industria degli ETF ha registrato negli ultimi anni, in particolare la riduzione dei rischi di controparte, ci porta a guardare più favorevolmente rispetto al passato gli strumenti a replica sintetica, anche se questo richiederà all’industria un maggior sforzo di educazione verso il cliente finale”, ha aggiunto. 

Roberta Rudelli, responsabile Fund Selection di Cordusio SIM, non crede invece in un cambio di prospettiva relativamente agli strumenti passivi a replica sintetica. “Tre quarti degli asset in gestione degli ETF sono detenuti in prodotti a replica fisica e il trend è destinato a continuare”, sottolinea l'esperta. “Essenzialmente, la replica fisica, ovvero l’investimento diretto in un mercato specifico, rassicura di più il cliente rispetto a strumenti che usano derivati e all’interno dei nostri portafogli vengono usati solo per l’esposizione a mercati per i quali non esiste un replicante fisico oppure quando il rapporto qualità/rendimento rispetto a un ETF fisico è maggiore”, conclude.

Nonostante l’ambivalenza delle risposte proveninenti dal mercato, gli esperti di Invesco credono in un cambiamento di attitudine degli investitori che porterà le entità focalizzatesi nella parte fisica a cambiare nei prossimi anni la struttura dei loro prodotti in quegli ETF in cui la replica sintetica risulti più efficiente. Un nuovo giro di eventi che, se dovesse verificarsi, potrebbe far sì che gli asset manager che hanno migrato la propria gamma a replica fisica ritornino sui loro passi.