Torna l’appetito per le strategie alternative in Italia. Sommando i dati delle masse investite in fondi hedge di diritto italiano con il patrimonio netto dei fondi UCITS alternativi il totale è di 27,6 mld di euro. Parla Alessandra Manuli, Hedge Invest.
Sta crescendo l’interesse degli investitori nei confronti degli strumenti alternativi, dopo le fuoriuscite di fine 2008. E oggi il settore hedge internazionale amministra, secondo Hedge Fund Intelligence, oltre 2.800 miliardi di dollari (2,3 trilioni) mentre, considerando nel computo anche i fondi UCITS absolute return (fondi armonizzati secondo le Direttive europee che replicano strategie tipiche del mondo hedge) il livello degli attivi sale a 3.018 miliardi (3 trilioni circa). La massa investita in questi strumenti è quindi ben superiore rispetto ai massimi di fine 2007, quando era pari a 2.500 miliardi. Nello stesso periodo, in Italia, contrariamente a un’idea diffusa di riduzione del business per le strategie hedge, l’apprezzamento per i gestori long/short è tutt’altro che diminuito. Sommando infatti i dati delle masse investite in fondi hedge di diritto italiano con il patrimonio netto dei fondi UCITS alternativi il totale è di 27,6 miliardi di euro. Anche in questo caso si supera il picco massimo di 25,3 mld toccato dai soli hedge fund di diritto italiano a fine 2007.
“L’Europa, che sconta una cattiva percezione sul settore, visto come qualcosa di poco regolamentato e poco trasparente, queste strategie sono rinate in formato UCITS (o armonizzato)”, spiega Alessandra Manuli, AD di Hedge Invest SGR. Continua: “se si guarda ai numeri a lungo termine, questi strumenti hanno saputo rispondere bene alle esigenze degli investitori. Nel corso delle varie crisi sono riusciti a contenere le perdite, fornire rendimento, contenere la volatilità”. Per questo motivo, a fine 2012, la SGR ha lanciato quattro comparti UCITS che replicano strategie attive tipiche del mondo hedge. Intanto è cambiato anche il fronte dell’offerta sulla tipologia di strategie. Precisa Alessandra Manuli: “nei primi anni ‘90 il settore hedge era dominato dai grandi fondi global macro (si pensi a George Soros e Julian Robertson) dove il fund manager fungeva sia da portfolio manger che da risk manager basandosi soprattutto sulle sue intuizioni”.
Oggi l’offerta in termini di strategie è molto più variegata e attraente. Infatti, dopo la fase iniziale, sono entrati in questo settore anche manager con expertise in campi specifici dell’asset management (ad esempio esperti nel distressed, nei bond, nei modelli di trading), desiderosi di sfruttare le potenzialità offerte dalla gestione alternativa. Conclude: “questa diversificazione è stata anche stimolata dalla domanda, principalmente degli investitori istituzionali, che chiedevano fondi diversi dai global macro, ovvero con mandati più specifici in determinate asset class. Gli investitori istituzionali poi hanno sempre più apprezzato approcci con al centro processi di governo del rischio. Gli stessi fondi macro sono ora molto diversi da quelli degli anni ‘90, poiché molto più disciplinati nell'implementazione della strategia”.