L’allineamento dei fondi di investimento ai 17 Goal al 2030 e il ruolo svolto dall’impact investing nel processo di selezione. Di questo si è parlato nella settima tavola rotonda di FundsPeople Talks ESG.
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L’allineamento dei fondi di investimento ai 17 Goal al 2030 e il ruolo svolto dall’impact investing nel processo di selezione. Di questo si è parlato nella settima tavola rotonda di FundsPeople Talks ESG.
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Nella selezione dei fondi e, nello specifico, nell’analisi ESG dei prodotti, un parametro discriminante è da ricondurre alla verifica dell’allineamento ai 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) delle Nazioni unite. Si tratta, d’altronde, di una rappresentazione sintetica di una serie di obiettivi economici e sociali che include, al proprio interno, 169 sotto-obiettivi utili nell’analisi di un investimento (in molti casi, come sottolineato da alcuni professionisti, dal punto di vista tematico). L’esigenza di veicolare risorse verso gli SDGs si allinea, dunque, da un lato alla necessità di ottenere performance sostenibili corrette per il rischio, dall’altro all’opportunità di influire positivamente nel percorso stabilito dall’Onu. Secondo i calcoli dell’Environment programme finance initiative (UnepFI) delle Nazioni unite, sono necessari tra i US 5mila e i 7mila miliardi di investimenti annui per la realizzazione dei Goal al 2030. Tuttavia il volume dei flussi finanziari attualmente al servizio degli SDGs è difficile da misurare. UnepFI ha ipotizzato un gap (calcolato come fabbisogno di investimenti meno i flussi finanziari pubblici e privati) di circa 2.500 miliardi nei Paesi sviluppati e in via di sviluppo (EMDEs). Sempre secondo UnepFI, tuttavia, i modelli di business (economici e finanziari) basati sull’impatto potrebbero svolgere un ruolo chiave nel colmare il divario di finanziamento per gli SDGs. Appunto del tema dell’impact investing e del ruolo degli Obiettivi Onu nella fund selection si è parlato nella settima tavola rotonda di FundsPeople Talks ESG, che si è tenuta a Milano lo scorso 21 marzo e ha visto il confronto tra un professionista specializzato negli investimenti sostenibili e tre esperti nella selezione.
I commenti si riferiscono al contesto del 21 marzo 2023.
“L’impact investing è senz’altro il passo successivo lungo la strada della sostenibilità”, ne è convinto Daniele Fontanili, head of multi manager solutions, Generali Asset and Wealth Management. Secondo l’esperto, “i fattori ESG sono ormai lo standard, tuttavia il mercato e il settore del risparmio gestito nello specifico dovrebbero evolvere sempre più verso questo tipo di investimenti”. Certo, da un punto di vista della fund selection “non cambia molto che un fondo sia ESG o a impatto, cambia però la profondità dell’analisi”, mentre la misurabilità si configura come una sfida, “soprattutto perché il mercato non è standardizzato, non solo a livello di fondi, ma di intera industria”. Tra le pieghe di questa mancata standardizzazione si inserisce il rischio greenwashing, che risulta “ancora più elevato per i fondi a impatto positivo o che mirano a produrre esternalità positive”. Tra gli elementi che concorrono al “percorso sostenibile” si configurano, senza dubbio, gli SDGs delle Nazioni unite. Tuttavia per Fontanili il loro “peso” dipende principalmente dalle preferenze dei clienti in materia di sostenibilità. “Nel mio ruolo mi occupo della fund selection sia per il portafoglio investimenti diretti delle compagnie assicurative del Gruppo Generali sia per le polizze unit-linked. E il processo attuato è differente”. Nel primo caso, afferma Fontanili, “l’analisi mira a comprendere le caratteristiche di sostenibilità dei prodotti in termini di approccio o di integrazione, dalla prospettiva di una compagnia assicurativa”. Mentre per le unit-linked, “c’è spazio anche per una narrazione più commerciale”. In tal senso “è importante capire le esternalità positive che una strategia può produrre riguardo ad alcuni SDGs, ma al tempo stesso bisogna anche essere consapevoli dei potenziali impatti negativi su altri obiettivi”.
1/4Anche Simone Renzelli, fund analyst e advisory portfolio management, Euromobiliare Advisory SIM conferma “il ruolo di primo piano nell’analisi dei fondi” in capo agli SDGs, ma richiama la loro connessione principalmente con gli investimenti tematici. “Quando analizziamo un fondo orientato a un tema specifico, ad esempio l’ambiente, esaminiamo tutti gli SDGS a cui il fondo si dichiara allineato, soprattutto per monitorare l’effettiva aderenza al tema in questione. In ogni caso, lato nostro, è importante la valutazione del ‘do not significantly arm’ in modo da evitare che il favorire alcuni SDGs possa invece impattare negativamente su altri andando a compromettere l’essenza dell’investimento sostenibile”. Nell’ampliare lo sguardo al più generale tema dell’impact investing, Renzelli afferma che la richiesta lato cliente è divenuta una costante, motivata anche dalla capacità dei fondi sostenibili “in termini di gestione del rischio senza sacrificare la performance”. Qui si affaccia la preferenza per i fondi articolo 9 SFDR, anche se più difficili da inserire in portafoglio in quanto “dedicati a temi molto specifici”, ma che offrono, come già evidenziato, un grado di analisi in più legato alle metriche di misurazione previste dalla normativa per questo tipo di prodotti. “Nell’ambito del nostro approccio non ci limitiamo ad analizzare il tipo di asset, ma studiamo anche la casa di gestione, perché la reputazione è estremamente importante, soprattutto alla luce degli ultimi casi di ‘riclassificazione’ di fondi da articolo 9 ad articolo 8”, sottolinea Renzelli.
2/4Andrea Florio, manager di Zurich Bank sottolinea che i fattori necessari per valutare un fondo che dichiara di avere un impatto positivo sono molteplici. “Analizziamo la strategia di investimento, l’integrazione dei fattori, la trasparenza e i rating ESG, nonché la performance storica e il team di gestione del fondo”. Anche Florio richiama la “crescente domanda” in termini di strategie di investimento sostenibile e a impatto, ed evidenzia come, per offrire una risposta chiara a questa richiesta del mercato, il processo di selezione si sia dotato di una serie di criteri, che riassume in “tre pilastri” quali: caratteristiche della società di gestione, strategia del fondo e composizione del portafoglio. Il primo pilastro analizza “la credibilità della strategia, le risorse dedicate al fondo e il suo approccio alla sostenibilità più in generale”; il secondo indaga la “missione sostenibile del fondo, l’identificazione dell'universo investibile, oltre che ruolo e peso della sostenibilità nella selezione dei titoli”. Infine, l’analisi relativa alla composizione del portafoglio consente di “verificare la coerenza con gli obiettivi ESG e, al contempo, l'esistenza di partecipazioni in società esposte ad attività controverse”. Mentre più nel dettaglio degli SDGs, il peso di questi obiettivi in fase di selezione varia a seconda della strategia di investimento o delle priorità del fondo. “Riteniamo che l'approccio al calcolo dell'allineamento agli SDGs debba essere il più quantitativo possibile – afferma il manager –. Per questo motivo nella valutazione di un'azienda prendiamo in considerazione diversi dettagli, a partire l’allineamento dei prodotti, ossia l’analisi dei ricavi per misurare il contributo agli SDGs. Segue l'esame dell’allineamento operativo, in merito a politiche, obiettivi e risultati KPI; e il comportamento aziendale, in particolare con l’attenta analisi delle controversie”.
3/4Anche Daniel Wild, chief sustainability officer di J. Safra Sarasin, sottolinea la mancanza di un approccio “unico e univoco” all’investimento sostenibile. Per cui, “un metodo di classificazione semplificato, ad esempio in base agli articoli 6, 8 e 9 SFDR, non rispecchia la realtà del mercato né, soprattutto, il vasto spettro di interessi e preferenze dei clienti”. Tuttavia, secondo l’esperto è possibile individuare la maggior parte delle strategie in base a tre approcci. “Il primo è incentrato sulle motivazioni etiche dell’esclusione, di solito slegate da obiettivi di performance. Il secondo riguarda la materialità finanziaria dei fattori ESG, che possono contribuire a ottenere rendimenti su base corretta per il rischio. Il terzo approccio si basa sull’intenzione di creare un impatto positivo”. Sul tema della materialità, in particolare, Wild sottolinea come sia “ormai un dovere fiduciario integrare i fattori ESG nell’ambito di qualsiasi investimento ‘solido’, ed è il motivo per cui J. Safra Sarasin applica sempre questo approccio”. L’impatto, per parte sua, è invece “spesso legato agli investimenti tematici, che tendono a essere svincolati dai benchmark, per cui è difficile indicare se le strategie di crescita incentrate su temi come energia, salute, acqua, possano generare una sovraperformance consistente, che in parte dipende dal ciclo di mercato. Tuttavia, se si guarda alle prime strategie tematiche nate all’inizio del secolo, emerge che in un ciclo di mercato completo sono spesso riuscite a sovraperformare”. In risposta alle considerazioni relative all’allineamento di un portafoglio agli SDGs, Wild ricorda che questi obiettivi “non sono stati creati per gli investitori: sono nati in un contesto molto più ampio ed è positivo che quasi tutti i Paesi li abbiano sottoscritti”. Per questo può essere utile renderli più comprensibili anche in ambito finanziario, “ed è quanto abbiamo cercato di fare in J. Safra Sarasin analizzando le società incluse nel nostro universo di investimento e collegando i flussi di reddito di ciascuna azienda con i 17 obiettivi ONU, nonché i rispettivi parametri sottostanti. Per individuare gli aspetti negativi e focalizzarsi sui leader del proprio settore – conclude –, applichiamo la nostra matrice di sostenibilità”.
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