Limiti normativi e scarsa “attitudine” degli investitori frenano la raccolta del venture capital
Il mercato del venture capital italiano è ancora di dimensione ridotte. A determinarne il perimetro un framework regolatorio e fiscale poco “propositivo”, a detta degli stessi attori del mercato. tuttavia le potenzialità del settore sono enormi, anche in termini di indotto e impatto sociale (investire sulle eccellenze italiane ha un ritorno diretto sul Paese). Una presa di coscienza che in Italia non è ancora percepita e che vede in un Paese come la Francia, simile al nostro come struttura del risparmio e popolazione, un esempio pratico interessante con la creazione, nel 2012 di Bpifrance, un’entità pubblica assimilabile all’italiana Cassa Depositi e Prestiti, che ha iniziato a investire massicciamente sul settore.
Questo allargamento del mercato ha attratto anche più investitori esteri, in un circolo virtuoso chiamato ad esempio dagli stessi attori del mercato nella seconda parte della tavola rotonda organizzata da FundsPeople a Milano, in cui si sono confrontate tre primarie SGR italiane e la banca depositaria Caceis.
I commenti si riferiscono al contesto del 16 ottobre 2023.
Un settore che, nonostante le potenzialità sottostanti legate, in particolare, alle disponibilità degli investitori istituzionali, fatica a crescere. “Il mercato italiano del venture capital è tra i più piccoli in Europa”, afferma Luciano Balbo, co-fondatore e managing partner di Oltre Impact, che prende come termine di paragone il mercato francese, grande fino a sette volte quello del nostro Paese. L’esperto parte dalla considerazione che gli interlocutori delle SGR alternative appartengono a una platea numericamente ristretta composta, oltre che da CDP, principalmente da Casse di previdenza e fondazioni. Ciò non significa che le disponibilità di questa platea siano ridotte. Anzi. Tuttavia, “non si può parlare di fundraising senza una fotografia chiara del mercato italiano”.
Balbo richiama a questo proposito la presenza (o meglio, l’assenza) del tema normativo. Oltralpe il governo è infatti intervenuto per imporre l’investimento (se pur in percentuale decisamente ridotta) nelle PMI, “se i fondi aperti italiani investissero nel venture capital lo 0,1% di quanto hanno in gestione, triplicherebbe il mercato”. Non un tema fiscale, dunque, ma appunto di opportunità di investimento in strutture illiquide garantita e imposta dalla legge. Le ridotte dimensioni del mercato, inoltre, impediscono al nostro Paese di rendersi “appetibile” per gli investimenti stranieri. Da qui la necessità di soluzioni che garantiscano una crescita sostanziale del mercato, crescita che non può essere demandata alla sola “bontà” di startup e imprese che vi accedono. “Se si guarda alla Francia o alla Germania, si scopre che molte aziende hanno modelli e intuizioni simili a quelli delle aziende italiane, ma le prime vanno più veloci. È la dimensione del mercato a determinare la velocità del suo sviluppo. Non è un tema di mancanza di competenze – afferma Balbo –. È un tema strutturale”.
1/4A queste considerazioni Gianluca Dettori ne aggiunge altre derivate dall’esperienza di Primo Ventures, di cui è chairman e general partner. “Oggi il mercato delle società target in Italia è molto ricco – sostiene – e questo consente agli operatori italiani di fare ‘cherry picking’”. L’esperto richiama poi la normativa europea SFDR (“per cui tutti i fondi lanciati oggi sono almeno articolo 8”) sottolineando la centralità del tema ESG: “I fondi hanno orizzonti temporali lunghi e le aziende target che non hanno questi temi al centro del loro sviluppo difficilmente tra dieci anni saranno le vincitrici sul mercato”.
Altro elemento portato all’analisi è l’investimento in società italiane “che però hanno un mercato globale”. Cosa potrebbe fare una banca depositaria per supportare le SGR operanti nel venture capital? “Innanzitutto fare networking con gli LPs (limited partner ndr.) per fare awareness e spiegare perché sarebbe essenziale avere questa asset class oggi nei propri portafogli”. Dettori sottolinea come, nonostante il rallentamento del 2023 in Italia e all’estero, “i prossimi cinque anni saranno i migliori per fare investimenti, a maggior ragione nel settore tecnologico, tipicamente anticiclico”.
C’è poi un altro tema, che riprende il dettaglio normativo già individuato da Balbo, ma offre possibilità di apertura del venture capital anche al capitale privato, “si discute da tempo degli Eltif e della presenza di altri strumenti finanziari su cui si potrebbe operare. Tuttavia gli ostacoli regolatori (e il rischio di investimento) rendono il tema complicato”. Un ultimo punto (che lo stesso Dettori definisce ancora più complesso) è l'incentivazione fiscale. L’esperto si augura, sotto questo aspetto, un’apertura a livello istituzionale, “per aprire il risparmio italiano a questa classe di investimento. Il venture capital – afferma –, genera redditi su professioni che nella maggior parte dei casi vengono formate in Italia, ma poi vanno a lavorare all’estero. La dimensione del potenziale indotto e l’impatto sulla società, se si guarda ai numeri, è impressionante”.
2/4Il ruolo della depositaria, in quanto entità “a conoscenza dell’operatività e della performance dei fondi attraverso la propria attività istituzionale”, emerge anche nella riflessione di Giovanna Dossena, principal di AVM Gestioni SGR, che indica come tale operatore possa svolgere “una parte di assessment verso interlocutori diversi rispetto a quelli con cui la SGR interagisce già”.
Dossena richiama poi la struttura stessa della depositaria che, in quanto banca, fa parte di un sistema più ampio, in cui sono presenti anche reti di distribuzione. Questo potrebbe favorire un potenziale coinvolgimento nella raccolta per il private capital, “si tratta di strutture che si rivolgono a un mercato ampio e in grado di identificare un tasso di rischio compatibile”. E qui viene il tema più importante: “Occorre fare ordine nel settore del risparmio gestito in cui, rispetto all’investimento che potremmo definire ‘tradizionale’, quello in venture capital è estremamente controllato. Certo, le regole danno credibilità e responsabilizzano le parti, ma a fronte della presenza di operatori totalmente deregolamentati (come i club deal) che sottraggono una certa massa di capitali che potrebbe essere diretta verso il venture capital”.
Anche Dossena sottolinea la scarsa partecipazione degli istituzionali, attribuendo questo atteggiamento all’entropia che si genera in determinati settori, per cui “investitori più strutturati allocano somme irrisorie nel private capital, un po’ per un’attitudine ridotta a reputare il settore investibile, un po' per le regole stringenti che definiscono questo investimento”. La soluzione? “Un tavolo comune tra operatori e investitori per sbloccare l'afflusso di capitali istituzionali verso le imprese”. Il momento, poi, è strategicamente favorevole, perché “il livello dei tassi ha calmierato le quotazioni”. E anche in questa sede rientra la funzione della depositaria come entità capace di individuare il rischio prospettico. “Non è stimando sempre un grado di rischio massimo che si esprime il rischio reale di un investimento, perché il venture investe in asset che diventeranno ‘altro’ rispetto all’impresa o la tecnologia identificate in partenza”.
3/4Quale il ruolo della depositaria dunque? “Accompagnare la SGR dalla sua costituzione, fino alla costituzione dei singoli fondi”, afferma Giorgio Solcia, general manager di Caceis. “Nel nostro caso, ad esempio, è previsto un supporto legale e operativo anche nelle attività di startup del fondo e di identificazione del beneficial owner che, soprattutto con investitori esteri, può aiutare quando ci sono strutture particolarmente complesse”. Alla possibilità di ampliare lo sguardo all’estero Solcia aggiunge un altro elemento: “Nella due diligence dei grossi investitori istituzionali, soprattutto internazionali, la depositaria è uno dei temi presi in considerazione. Quindi avere un partner con un rating importante, e con alle spalle due gruppi come Crédit Agricole e Santander è di certo un dettaglio che aiuta”. Inoltre la depositaria è già “strutturata per supportare i gestori che a loro volta hanno degli investitori internazionali”.
Il fatto di operare in più Paesi ha un’altra conseguenza, “spesso la scelta della banca depositaria è indicata dagli stessi sottoscrittori, che già operano all’estero con quel depositario. Ricordiamo, inoltre, che alcuni investitori, come i fondi pensione e in diversi casi le casse di previdenza, hanno a loro volta un custodian. Se da un punto di vista operativo la loro depositaria è in grado di metterli nelle condizioni di poter acquistare e gestire partecipazioni in fondi di private market, si tratta di un valore aggiunto spesso non preso adeguatamente in considerazione”. Questo non significa, sottolinea l’esperto, “che aiutiamo le SGR a fare fundraising, ma le mettiamo nelle condizioni di poter fare più facilmente questa attività con i servizi che offriamo”. L'ultimo tema riguarda la citata potenziale apertura al mercato retail. “Si tratta di una tematica sulla quale siamo sollecitati anche in altri ambiti, come nell'immobiliare o nel private equity – afferma il general manager –. C'è sicuramente grande interesse da parte di alcune reti di wealth management a lavorare su prodotti di private market”. Cosa può fare una struttura come Caceis nel suo ruolo di asset servicer? “Supportare le reti nell’acquisizione di prodotti che non sono nati per essere distribuiti al mercato retail. È un'evoluzione che tutti ci auguriamo si compia. Non so quanto ancora questa industria sia matura per poterlo fare, ma sicuramente è una sfida per il futuro”.
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