Il dibattito tra filosofia di investimento attiva e passiva rappresenta un evergreen anche nel campo degli investimenti sostenibili. In generale, la gestione attiva, che punta a ottenere rendimenti più elevati rispetto a quelli dell’indice di riferimento, presenta una maggiore flessibilità dal punto di vista della personalizzazione, ma anche costi superiori. Nel 2023, secondo i dati diffusi da S&P Dow Jones Indices (SPIVA – Standard & Poor’s Indices Versus Active) negli Stati Uniti il 40,32% dei fondi large cap a gestione attiva hanno performato meglio dell’S&P 500 mentre il 59,68% è andato peggio dell’indice. Il dilemma sull’utilizzo delle due metodologie è stato affrontato nella seconda tappa del FundsPeople Selector Roadshow organizzato da FundsPeople che si è tenuto il 29 febbraio a Torino, evento in cui fund selector e asset manager esperti del settore hanno evidenziato i principali pro e contro di entrambe le strategie e le proprie preferenze nell’attuale contesto di mercato.
Investimenti sostenibili, gestione attiva e passiva a confronto
“Il nostro gruppo è nato con la missione di rappresentare nei mercati i valori della finanza etica ed ha la peculiarità di voler effettuare solo investimenti etici e responsabili. Per questo motivo non è per noi possibile adottare un approccio passivo”, dichiara Arianna Magni, head of Institutional and International Business Development di Etica SGR, specificando che “vogliamo gestire la selezione ex ante degli investimenti in maniera attiva e basandoci su indicatori di natura extra finanziaria. Questo lo facciamo internamente grazie a un team di analisti dedicato all’analisi e alla selezione ESG, non ci basiamo su rating elaborati da altri. Facciamo delle scelte di campo molto forti che nascono dal sistema di valori di cui il nostro gruppo è portatore. Ad esempio, da sempre escludiamo l’investimento in armi e il petrolio l’abbiamo sempre visto come un’attività controversa. Quindi, l’aspetto etico che non può che emergere con una selezione attiva, ci porta ad esempio a escludere dal campo degli investimenti una società che, pur presentando un punteggio ESG buono, opera in un settore che riteniamo controverso. Da questo si evince che nel nostro modello la selezione e la gestione attiva sono fondamentali”.
1/7Ricollegandosi al discorso fatto da Arianna Magni relativo all’importanza della gestione attiva nella selezione degli investimenti sostenibili, Francesca Colombo, Head of ESG Analysis and Research Team di Etica SGR, sottolinea “il tema importante della credibilità. Se tu nei confronti di una tematica ti poni in modo trasparente e coerente, devi esserlo fino in fondo, ovvero anche a livello di Entity e non solo di prodotti. Con questo atteggiamento si riesce a ottenere fiducia da parte dei clienti che spesso fanno fatica a comprendere la genuinità della proposta di investimento degli asset manager”. Parlando di quest’ultima problematica l’esperta evidenzia che “emergono ancora alcune ombre in relazione alle possibili strategie di investimento sostenibile”. In futuro Colombo pensa che si andrà a definire anche questo aspetto all’interno di un quadro normativo che sarà sempre più “chiaro, definito e completo” e che andrà a contrastare anche “il fenomeno del greenwashing”.
2/7Anche Andrea Daffara, portfolio manager di Banca Patrimoni Sella & C., evidenzia che “attualmente dire quanto una strategia sia ESG è abbastanza difficile, poiché non esiste una definizione precisa che possa tracciare una linea di confine”. Nello specifico, prosegue l’esperto, “il nostro gruppo fin dall’inizio ha cercato di cogliere in modo coraggioso la sfida della sostenibilità, cercando di coniugare approcci anche diversi in materia di sostenibilità e di conciliarli con le richieste dei bankers e con le peculiarità delle diverse soluzioni di investimento. Nel dibattito ‘evergreen’ tra soluzioni attive e passive, non esprimiamo a priori una preferenza tra i due approcci, che riteniamo assolutamente complementari anche sul fronte ESG. La prima metodologia ha dei vantaggi sul fronte della selettività degli obiettivi, dei benefici apportati dall’attività di engagement e della minore dipendenza da rating ESG, mentre la seconda può far leva su maggiore efficienza, trasparenza e fruibilità anche in chiave tematica oltre che su un numero sempre più elevato e raffinato di indici ESG portati sul mercato. In ogni caso, la scelta più appropriata dipende dalle caratteristiche del portafoglio di investimento”.
3/7Federico Mondonico, portfolio manager di BCC Risparmio & Previdenza, si sofferma sui pro e contro della gestione attiva e di quella passiva. Il primo approccio, spiega l’esperto, “è caratterizzato sicuramente da flessibilità, soprattutto sul fronte della personalizzazione, in quanto consente di adeguarsi a quelli che sono gli obiettivi dell’investitore, che ad esempio nell’ambito ESG potrebbe avere una preferenza per una particolare configurazione sull’aspetto ambientale. Di contro, per la gestione attiva bisogna considerare anche altri elementi come il costo o eventuali bias comportamentali e ideologici del gestore da dover controllare. La gestione passiva risulta invece più semplice e trasparente, anche perché si tratta di una metodologia tipicamente più quantitativa”. Concludendo, afferma Mondonico, “ritengo che l’approccio attivo sia da preferire in ottica di customizzazione, di engagement e per il fatto che riesce a creare un dialogo costruttivo con le società, conseguendo obiettivi ad impatto positivo a livello sociale, ambientale e di governance”.
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Anche Giulio Casuccio, portfolio manager di Fondaco SGR, predilige “la gestione attiva” che permette di avere una personalizzazione maggiore e consente “di aiutare l’investitore a realizzare i propri obiettivi tenendo in considerazione quelle che sono le sue preferenze, la sua policy di investimento”. Inoltre, spiega l’esperto, il gruppo “tende a non fidarsi troppo della metodologia passiva, che è prettamente sistematica. La gestione passiva, infatti, non riesce a catturare bene l’evoluzione, le prospettive future. Le società che nei prossimi anni saranno più virtuose in ambito ESG probabilmente riusciranno anche a ottenere migliori performance finanziarie”. Per quanto riguarda poi “l’analisi per la selezione dei fondi in cui investire, il processo utilizzato è prevalentemente qualitativo. A questo si va ad affiancare poi l’analisi più prettamente finanziaria”, conclude Casuccio.
5/7Ricollegandosi al discorso fatto da Giulio Casuccio relativo all’importanza che hanno nell’ambito ESG l’analisi qualitativa e quella quantitativa nella valutazione dei fondi, Riccardo Cavallero, responsabile advisory di Banca del Piemonte spiega che il gruppo “si muove in parallelo su entrambi i binari”. Più nel dettaglio, spiega l’esperto, “c’è una valenza dell’analisi qualitativa molto forte, una valutazione che per definizione è molto personale e assolutamente soggettiva. A questa si affianca l’analisi quantitativa, un processo in continuo sviluppo”. La forte attenzione del gruppo in ambito ESG, come spiega Cavallero, è legata anche “ai clienti. Quelli anziani non hanno ancora una grande sensibilità nei confronti delle tematiche ambientali, sociali e di governance, mentre i giovani sì, e in futuro la svilupperanno ulteriormente”.
6/7“Attualmente è in atto un chiaro trend per cui tutte le società stanno elevando i loro standard sul fronte degli ESG”, spiega Carlo Vedani, AD e gestore patrimoniale di Alicanto Capital SGR, aggiungendo che per il processo di asset allocation “in futuro riuscire a fare una selezione qualitativa delle aziende sarà più impegnativo”. Al momento, nell’ambito della selezione degli investimenti ESG, l’esperto “preferisce scegliere i fondi più piccoli rispetto a quelli grandi che sono più portati a investire in società a elevata capitalizzazione. Queste ultime sono caratterizzate da una maggiore complessità rispetto alle aziende di minori dimensioni e quindi di conseguenza sono più esposte al rischio di greenwashing”. In questo contesto, prosegue Vedani, è molto importante “effettuare una valutazione non solo sui fondi ma anche sulle strutture proprietarie”.
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