Secondo un’analisi di Morningstar, negli ultimi cinque anni è aumentata l’esposizione degli asset owner agli ESG (con la E fattore dominante). Gli analisti identificano “quattro cappelli” con cui le entità si rapportano al tema in Europa, USA e Asia.
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Gli investitori istituzionali aumentano l’esposizione agli ESG e l’ambiente si conferma il fattore dominante nelle scelte di investimento. A riportare il dato un recente studio di Morningstar, Voice of the asset owner survey, che in una prima fase (con un’indagine di tipo qualitativo) ha coinvolto 13 asset owner tra Nord America, Europa e Asia. Lo studio, giunto alla terza edizione, coinvolge gli investitori di lungo periodo su temi quali gli obiettivi e le politiche di investimento, gli stakeholder, il ruolo degli ESG nelle scelte di investimento e il giudizio sui service provider.
Quattro cappelli
L’espressione utilizzata dagli analisti per riferirsi agli asset owner è “un porto nella tempesta”. Questo per identificare la percezione emersa dalle interviste condotte con gli istituzionali selezionati nella fase qualitativa dello studio (la fase quantitativa, coinvolgerà più soggetti e sarà condotta nel corso dell’anno). Gli esperti di Morningstar indicano come gli istituzionali indossino “un cappello differente” in base alle responsabilità “sempre più impegnative e dinamiche”. Lo studio indica come un primo approccio di tali entità li veda identificarsi come “universal owner”, ossia gestori di AuM significativi a livello di intero mercato. In quanto tali, “non possono facilmente diversificare rispetto ai da rischi esterni come il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, gli eventi geopolitici o le violazioni dei diritti umani”. Sotto questo cappello molti istituzionali preferiscono dunque perseguire un approccio orientato all’engagement.
Un secondo cappello, tuttavia, li identifica come “comunicatori e influencer” in quanto “l’importanza di gestire la comunicazione con i principali stakeholder interni ed esterni è emersa come tema comune”. Interessante il ruolo che tali entità assumono nell’indossare “il terzo cappello”. Oltre due terzi degli intervistati (67%) al sondaggio del 2023 indicava un aumento dell’importanza degli ESG nel processo di investimento nell’ultimo lustro “riflettendo la loro prospettiva di investitori a lungo termine”.
Paese che vai, materialità che trovi
Tuttavia, l’indagine di quest’anno ha incluso un concetto in merito alle strategie di investimento legate agli ESG e alla materialità. Ebbene, sulla materialità la percezione non è univoca a seconda della geografia di appartenenza. In Europa, ad esempio, “la materialità spesso implica il perseguimento di rendimenti finanziari a beneficio dei principali stakeholder, ma anche un impegno più ampio per considerare l'impatto ambientale, sociale e di governance degli investimenti”. Negli USA materialità e fattori ESG sono sì “un beneficio correlato”, ma “non il fattore principale che determina dove e come investire”. Nonostante le differenze però l'attenzione ai fattori ESG è aumentata in modo generalizzato negli ultimi cinque anni, e gli intervistati si aspettano che questa tendenza continui. Un dettaglio interessante: c’è una differenza nel “rumore”, individuato come critiche od ostacoli politici, intorno agli ESG tra le varie aree geografiche in particolare negli Stati Uniti rispetto a Europa e Asia.
Migliora la qualità dei dati (ma solo nella E)
Come anticipato, nel dettaglio delle tre componenti degli ESG (ambiente, social e governance) “il clima rimane il fattore materiale chiave che guida la politica di investimento”. E nell’ambito della E: biodiversità, acqua e rendicontazione delle emissioni Scope 3 sono comunemente citati come “fattori climatici emergenti”. Gli intervistati indicano anche un miglioramento di qualità, disponibilità e uniformità dei dati nella componente ambientale, elemento questo che rafforza l’attenzione per il clima rispetto al social e alla governance. A favorire quest’ultimo fattore, tuttavia, la tendenza individuata dagli istituzionali che vede le conversazioni sul clima spostarsi sempre più nei CdA “mostrando un avvicinamento tra la ‘E’ e la ‘G’, in quanto il clima diventa una componente necessaria della buona governance”.
Un ultimo elemento emerso (il “quarto cappello”) vede gli istituzionali in qualità di “responsabili operativi” a fronte dell’aumento di compiti legati ai requisiti normativi di reporting e trasparenza, In questo caso, proseguono gli analisti, “gli asset owner si sono dimostrati pratici e pieni di risorse. Si avvalgono di strumenti e assistenza di alta qualità, laddove disponibili, e se non riescono a trovare una risorsa che risponda a una determinata esigenza, sviluppano in modo proattivo le proprie soluzioni”.