Investitori italiani, i più esperti guardano all’engagement e ai mercati privati

Georg Wunderlin News
Georg Wunderlin, foto ceduta (Schroders)

Il livello di educazione finanziaria come “discrimine” nella consapevolezza del ruolo sociale degli investitori italiani in qualità di “azionisti” e nell’apertura all’investimento in mercati privati. È quanto emerge dai risultati della ricerca Schroders Global Investor Study 2022, indagine annuale di Schroders che ha coinvolto 23 mila persone in 33 Paesi tra febbraio e aprile di quest’anno e che, nel nostro Paese, mette in luce un divario ancora molto ampio tra soggetti che vantano competenze finanziarie più “sofisticate” e soggetti con conoscenze “rudimentali”.

Il ruolo dell’engagement

Secondo lo studio, in Italia il 93% degli investitori “avanzati/esperti” (95% il dato globale) ritiene che il ruolo di azionisti debba conferire loro la possibilità di influenzare le società detenute in portafoglio. Nel caso di investitori “principianti/inesperti” il dato scende al 60% (69% globale). Nel dettaglio delle priorità di engagement, quelle climatiche si confermano come le più attrattive per la maggior parte dei Paesi (38% il dato italiano, 32% quello globale), si distinguono Messico, Corea del Sud e Belgio dove al primo posto si collocano il patrimonio naturale e la biodiversità.

Una differenza tra il nostro Paese e la media globale riguarda, invece, il ruolo assunto dai principi nelle decisioni di investimento: mentre il 79% degli investitori in tutto il mondo dichiara l’importanza di investimenti che riflettano i loro principi, in Italia la percentuale cala a 53 punti sia per gli investitori “avanzati/esperti” sia per i “principianti/inesperti”.

Mercati privati e ruolo degli Eltif

Un dato interessante, come anticipato, è quello relativo all’investimento nei mercati privati, che hanno acquisito nel tempo una spinta maggiore. Secondo la survey il 40% degli investitori italiani si sente in grado di accedere alla microfinanza (42% il dato globale), il 38% agli investimenti immobiliari (45% il dato globale) e il 34% al private equity (47% il dato globale).  Inoltre ben il 57% degli investitori italiani investe già o intende investire in futuro nei mercati privati. Tra le motivazioni che stanno alla base di tale inclinazione, il 52% degli investitori sottolinea il ruolo di diversificazione di tali strumenti, il 40% indica la minore volatilità e un profilo rischio/rendimento interessante, mentre il 39% evidenzia la capacità dei mercati privati di generare rendimenti attraenti e decorrelati nell’attuale contesto macroeconomico. In questo caso un grande impulso è dato da una normativa favorevole.

La ricerca evidenzia infatti come l’86% degli investitori italiani prenderebbe in considerazione la possibilità di investire in asset privati attraverso un ELTIF se questa soluzione venisse proposta da un consulente finanziario. “Stiamo assistendo a un crescente interesse da parte degli investitori individuali verso un portafoglio olistico che comprenda investimenti nei mercati privati e pubblici, come evidenziato dal nostro Global Investor Study”, ha commentato Georg Wunderlin, global head of Private Assets, Schroders Capital.

Un’ulteriore spinta in Italia è poi determinata anche da un contesto normativo favorevole, gli Eltif godono infatti delle norme e  della fiscalità introdotte sui fondi PIR alternativi, con la presenza di un beneficio fiscale per la detenzione dello strumento per almeno cinque anni.

Il nodo private equity

Restano tuttavia alcuni nodi da sciogliere per favorire un maggiore ingresso degli investitori nei mercati privati. A quanto emerge dalla ricerca, infatti, alcune specifiche classi di investimento sono ancora percepite come complesse e richiedono un maggiore supporto da parte di gestori e consulenti finanziari per potervi accedere. Ciò, in Italia, è particolarmente vero per il private equity, dove gli investitori sono più propensi a investire attraverso un prodotto offerto da parti terze, come un fondo comune (50% contro il 38% del dato globale), piuttosto che direttamente (34% contro il 47% del dato globale). Anche in questo caso, tuttavia, si evidenzia un divario dettato dalle competenze degli investitori. In Italia, ben il 44% degli investitori “avanzati/esperti” si sente in grado di investire nel private equity, a fronte di un mero 17% per i “principianti/inesperti”.

Questo gap è confermato anche dal dato relativo alla percezione della capacità di prendere le giuste decisioni di investimento per il proprio futuro. Il 70% degli investitori “avanzati/esperti” italiani (82% il dato globale) ritiene di avere conoscenze sufficienti per prendere decisioni di investimento per il proprio futuro finanziario, mentre solo il 18% degli investitori “principianti/inesperti” (26% il dato globale) si sente abbastanza informato per farlo.