Le società di gestione analizzano la fine di un’era; un mandato caratterizzato da tassi sotto lo zero e inflazione ai livelli minimi, ma anche dal discorso che impedì il collasso della zona Euro.
Per accedere a questo contenuto
Senza alcun rimpianto Mario Draghi pone fine al suo mandato, caratterizzato da tassi sotto lo zero e inflazione ai livelli minimi, ma anche dal discorso che impedì il collasso della zona Euro. Questi sette anni si chiudono con i tassi fermi a zero, perché i rischi di un’economia al ribasso sono ancora molto forti.
“L'ultima riunione della BCE rappresenta la fine di un'epoca”, commenta Jeremy Lawson, capo economista di Aberdeen Standard Investments. L'attenzione si concentra sulla triste realtà del rinnovato malessere economico della zona euro. "Dopo essere riuscito nell’intento di tenere insieme l'Eurozona, portando una significativa ripresa economica e migliorando la comunicazione della BCE verso i mercati, Draghi si lascerà alle spalle una BCE divisa, ormai pressoché intrappolata nella sua strategia politica non convenzionale. Spetterà al suo successore, Christine Lagarde, trovare una via d'uscita e convincere i politici europei a pilotare i cambiamenti di politica fiscale e strutturale che sono la chiave ultima per sfuggire al mondo dei tassi negativi”, aggiunge.
Il fatto che oggi il Governatore rivendichi come il suo principale successo la creazione di posti di lavoro, un mandato che è al di fuori degli obiettivi della banca centrale, la dice lunga. “Nessuno crede che il mandato della Banca Centrale Europea oggi sia limitato al raggiungimento del target dell’inflazione al 2%. Se il mandato è un sistema rigido, ma gli strumenti per raggiungerlo sono flessibili, rischia di crearsi una frattura della già precaria armonia istituzionale europea. La gestione Draghi ha di fatto allargato il raggio d’azione della BCE”, sostiene Richard Flax, chief Investment Officer di Moneyfarm. La sua azione ha tuttavia evidenziato la fragilità delle catene di trasmissione classiche della politica monetaria. “Guardando al futuro, non crediamo che il ricorso perpetuo all’innovazione possa continuare ad essere la soluzione. Non si possono ignorare i numerosi rischi a cui l’eccessiva espansione dello stock monetario sottopone le economie. Il rischio è che, quando le contraddizioni del blocco economico europeo emergeranno con maggiore forza, tutto quello che sarà necessario fare potrebbe non essere più abastanza”, conclude l’esperto.
La costante richiesta di riforme strutturali da parte di Draghi è rimasta inascoltata per anni, ma qualsiasi rallentamento futuro richiederà probabilmente un intervento dei governi in materia di bilancio, piuttosto che un ulteriore allentamento della politica monetaria. “Una politica di stimoli fiscali potrebbe rimanere l'unica azione possibile per contrastare un futuro rallentamento dell'economia della zona euro”, spiega Oliver Blackbourn, portfolio manager del team Multi-Asset di Janus Henderson Investors. “Mentre altre banche centrali potrebbero cercare di aiutare i governi a finanziare i futuri stimoli fiscali abbassando il costo del credito, qualsiasi suggerimento in tal senso, entro i rigorosi limiti delle regole della zona euro, si rivelerebbe estremamente controverso. Inoltre, i limiti di bilancio e di debito stabiliti dal trattato di Maastricht implicano che molti Paesi della zona euro (i più grandi) abbiano un margine di manovra limitato sul fronte fiscale”, afferma.
Sembra evidente dunque che lo spazio della politica monetaria sia destinato a diminuire, resta da capire se e dove esiste uno spazio per avviare una politica fiscale con il potenziale di far aumentare la crescita ma anche di far salire i tassi. “La risposta si ottiene osservando il rapporto tra tassi di crescita dell’economia e tassi di interesse. Ogni volta che i primi sono superiori ai secondi esiste uno spazio di manovra per la politica fiscale, nella forma di misure di taglio fiscale o aumento della spesa pubblica; e questo spazio di manovra esiste anche in quei Paesi altamente indebitati in cui avere tassi di crescita superiori ai tassi di interesse innesca una dinamica virtuosa”, spiegano Andrea Delitala, head of Investment Advisory e Marco Piersimoni, senior portfolio manager di Pictet AM. Nei Paesi sviluppati c'è dunque spazio per la politica fiscale in Germania, Svizzera, Regno Unito, Svezia, Olanda; probabilmente anche in Francia, Giappone e Norvegia.
Il nuovo Presidente della BCE, Christine Lagarde, porterà il peso dell'eredità di Draghi con poche munizioni rimaste e un crescente malcontento all'interno del Consiglio direttivo riguardo all'ultimo programma QE. “Sul fronte della politica monetaria, ci aspettiamo quindi continuità e che la nuova leadership della BCE rimanga accomodante. Mentre una nuova 'crisi sovrana' non è attualmente nel radar, è improbabile che l'ultima tornata di acquisti di asset si riveli sufficiente, data la debolezza dell'economia. Ci aspettiamo quindi che la BCE intensifichi i propri sforzi. Gli investitori dovrebbero aspettarsi un aumento degli acquisti di asset, un bilancio più consistente e tassi ancora più bassi, ma senza un'immediata ripresa economica”, dichiara Andrea Iannelli, Investment Director per l’obbligazionario di Fidelity International.