Lo hanno spiegato tre esperti dell’industria del risparmio gestito in Italia, in occasione della round table sulla fund selection organizzata da Funds People.
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Fino a un decennio fa, precisamente fino al 2007, i processi di selezione in ambito UCITS erano principalmente di carattere quantitativo, questo perché si riteneva che il vestito UCITS fosse esso stesso garanzia di assenza di rischi “di coda”. Tuttavia, la crisi finanziaria partita con i crediti cartolarizzati nell’estate 2007 ha dimostrato il contrario, con una serie di “fallimenti eccellenti”, come spiega Paolo Biamino, responsabile manager Selection di Euromobiliare AM SGR, in occasione della round table organizzata da Funds People con alcuni dei più esperti fund selector dell’industria in Italia. “Per quanto ci riguarda abbiamo rapidamente improntato il nostro processo di selezione ai criteri di coerenza tra gli obiettivi di investimento, trasparenza del processo e delle fonti di valore aggiunto e liquidità degli investimenti, mutando un approccio fino ad allora ritenuto esclusivo dei fund of hedge funds”.
Secondo Biamino, non è quindi errato affermare che un processo di selezione di tipo qualitativo sia figlio della crisi del 2007-2008. “Da un lato ci si pone un obiettivo che attiene all’area della performance, ovvero si ricercano fondi che pensiamo possano ottenere risultati superiori rispetto al proprio peer group. Dall’altro ci si vuole assicurare che questi stessi fondi non nascondano fattispecie di rischio ancora inespresse e non valutabili dal punto di vista strettamente quantitativo che possano condurre a perdite superiori rispetto a quelle spiegabili con la volatilità di mercato. In pratica questo processo di investimento partendo da una prima valutazione quantitativa, si sviluppa con un vero e proprio processo di due diligence in cui vengono valutati quegli elementi che consentono al gestore di esprimersi al meglio: la struttura organizzativa dell’azienda, il processo di investimento, la costruzione di portafoglio e il risk management”, afferma l’esperto.
A suo parere, la figura dell’analista di oggi è meno presa in considerazione rispetto al 2009 per il particolare contesto di mercati molto più direzionali. “Riteniamo che l’approccio ‘generalista’ sia il più adeguato a realtà di dimensioni medio-piccole o più in generale alle attitudini degli analisti italiani. Esso consente infatti di tenere viva la curiosità e stimolare il pensiero laterale, cogliendo spunti di riflessione dai meeting e dalle asset class/strategie di investimento più diverse. Nella nostra concenzione il fund selector non è uno specialista di asset class o strategia, ma un ‘tuttologo’ in grado di affrontare con cognizione di causa le più svariate tematiche che si dovessero presentare tenendo come bussola i principi cardine citati in precedenza”, spiega il manager.
Ed è sulla sempre più predominante analisi qualitativa che Claudio Catalani, Advisory Desk specialist di Azimut Capital Management SGR, sostiene che prima di tutto bisogna capire cosa s’intende con analisi qualitativa e quantitativa. Ad esempio, il fund selector si chiede se la valutazione della size di un fondo sia effettivamente qualitativa o quantitativa. “Entrare infatti in un fondo con poche masse significa che, nel momento in cui si disinveste, possiamo anche mettere in difficoltà la liquidità dell’investimento. In generale, gli aspetti qualitativi non vengono mai tralasciati ma sono certamente più importanti in certe tipologie di fondi (flessibili) o nelle analisi di nuovi comparti/gestori”, dichiara Catalani.
Come spiega lo specialist, in Azimut dispongono di un’organizzazione orizzontale del team di Advisory, che ha l’obiettivo di trasferire ai consulenti finanziari della società le “chiamate” nella maniera più chiara e tempestiva possibile. “In ogni caso, riteniamo che il successo del servizio sia legato ad un gioco di squadra che, oltre al nostro team, coinvolge il consulente finanziario, la piattaforma tecnologica ed il cliente finale”, afferma.
Vi sonoinoltre processi di selezione che muovono le basi da un approccio puramente scientifico, e in particolar modo attraverso degli screening quantitativi, come nel caso di Amundi SGR. Come spiega Filippo Valvona, fund selector dell’asset manager, diversamente dalla maggioranza degli screening in uso, anziché utilizzare classifiche basate su rendimenti o su rendimenti corretti per il rischio, da Amundi utilizzano screening “holding based”, ossia analisi basate sui titoli sottostanti ai portafogli dei fondi, poiché questi sono molto più ricchi d’informazioni. “Successivamente creiamo una sorta di profilo per ogni fondo basato su stress test e fattori di stile. In questo modo possiamo incorporare l’influenza dello stile di gestione nell’analisi di performance e raggruppare così i fondi, con caratteristiche simili, in piccoli sottogruppi, aumentando dunque l’efficienza rispetto alle classiche categorie, le quali sono molto più ampie e racchiudono diverse e contrapposte strategie quali value, growth e blend”, dettaglia Valvona.
Pertanto, a detta del fund selector, la base di partenza del team è dominata dall’aspetto quantitativo, ma allo stesso tempo per arrivare ad una conclusione e prendere la decisione di acquistare o meno un determinato fondo, da Amundi svolgono una profonda analisi qualitativa, in cui giocano un ruolo fondamentale l’esperienza e l’abilità dell’analista. “Nell’analisi qualitativa cerchiamo di capire quali sono i driver della performance e dove possano annidarsi eventuali debolezze strutturali del fondo (es. turnover del team di gestione o degli analisti, ripetibilità del processo d’investimento, criticità degli elementi di risk management, ecc.). Vogliamo capire se l’investimento è sostenibile e se ha una struttura di team in grado di supportarlo”, conclude l’esperto.
Da Amundi sono in una fase di completamento dell’integrazione con il team di Parigi; tendenzialmente la struttura sarà basata su tre location, ovvero Milano, Parigi e Dublino, e dove ogni analista avrà la propria area di specializzazione, fanno sapere dalla società.