Nella conferenza di apertura del Salone SRI il confronto tra attori dell’industria finanziaria sul ruolo della normativa di sostenibilità nelle recenti evoluzioni del settore.
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Obiettivo iniziale delle normative messe in campo dall’Europa in materia di sostenibilità è “la creazione di parametri comuni per contrastare il greenwashing”. Concetto imprescindibile, che si collega tuttavia anche a un certo approccio “statico” a cui, oggi, si contrappone quello della transizione. Il tema approfondito da Fabio Tamburrini, economist, financial stability expert della Banca centrale europea davanti alla platea del IX Salone SRI, evento organizzato da ET.Group a Milano lo scorso 18 e 19 novembre, e di cui FundsPeople è media partner, si inserisce in una riflessione più ampia in merito alle evoluzioni della normativa europea sulla sostenibilità negli ultimi anni.
Nell’ottica di Tamburrini, intervenuto alla conferenza d’apertura della manifestazione il 19 novembre, “anche i cambiamenti geopolitici impongono di non prendere la transizione come un processo lineare”, per cui è importante definire anche “un framework normativo in grado di rispondere a questa dinamicità”. L’esperto individua nei piani di transizione un elemento in grado di garantire il passaggio da un contesto statico a uno dinamico, “potrebbero diventare il cardine futuro della finanza sostenibile, questo per le aziende soggette alla CSRD – afferma –, ma emerge anche come un chiaro requisito che la Capital Requirements Regulation impone alle banche europee”.
Diversi approcci
Il movimento in atto si confronta con diversi approcci. Uno sguardo tecnico arriva dall’advisor ESG, nelle parole di Fabio Guerrieri. Il director team ESG PWC Italia sottolinea la necessità di tenere in considerazione due aspetti: “la tendenza naturale alla compliance normativa e le implicazioni strategiche e di mercato”. Si tratta di due elementi in alcuni casi antitetici, ma “per garantire il cambiamento è necessario definire una tregua in questa dicotomia”. Come? Con la semplificazione del framework normativo. “Un primo bilancio a quasi cinque anni dall’entrata in vigore di SFDR vede l’emergere di una fortissima esigenza da parte degli asset manager di individuare un sistema di classificazione delle attività di investimento sostenibili che possa basarsi sui contenuti e non sulla forma”.
Ridurre la complessità
René Nicolodi, head of equities and deputy head of asset management di Swisscanto, approfondisce ulteriormente la riflessione su SFDR spostando lo sguardo sulla capacità della normativa di “indirizzare i flussi di capitale nell’economia reale verso target sostenibili”. L’esperto riporta come tra gli aspetti positivi emerga una “mutata consapevolezza sullo sviluppo sostenibile”, per contro si assiste a quella che definisce una “giuridificazione” della sostenibilità: “Ciò che ci ha aiutati a farla diventare mainstream ha anche creato una complessità molto elevata e delle inconsistenze lungo tutta la catena del valore, senza necessariamente creare più trasparenza per i clienti”. Il tema chiave, dunque, è la riduzione della complessità per mettere il mercato nelle condizioni di “interpretare i dati in maniera efficiente”.
Il ruolo di società e investitori
Da qui il passaggio alla consapevolezza del cliente, che rientra negli obiettivi delle singole entità. “Operare in modo etico, selezionare gli investimenti con criteri stringenti di esclusione, far evolvere le metodologie e tutelare gli interessi del cliente rispettando le sue preferenze in termini di rischio-rendimento, orizzonte temporale e sostenibilità: questo rappresenta, in estrema sintesi, il nostro impegno ESG, che è tra i nostri pilastri strategici”, afferma Lauretta Filangieri, responsabile sostenibilità di Intesa Sanpaolo Vita nel sottolineare che la società vanta “più dell’80% di opzioni di investimento art. 8 o art. 9 nei prodotti in commercializzazione”. Marco Carlizzi, presidente di Etica SGR sposta poi la prospettiva sulle società di gestione stesse. Nel caso della SGR del Gruppo Banca Etica, “in quasi 25 anni di attività abbiamo dimostrato di poter competere con costi competitivi e remunerazioni competitive”, afferma Carlizzi, il problema, tuttavia “è la competizione tra pari”, in questo specifico caso riferito a società che si confrontano anche con benchmark etici. Da qui il richiamo anche al ruolo degli investitori istituzionali sulle conseguenze che comportano le loro scelte di investimento “e il regolatore, in tal senso, può contribuire nel dare un indirizzo a questi soggetti”.