Presentati i risultati dell’ottavo rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali.
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Secondo l’ottavo rapporto sul bilancio del sistema previdenziale italiano a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali aumentano gli occupati (23.376.000 a fine 2019) e, benché si interrompa il trend in diminuzione dei pensionati del sistema Italia, che crescono fino a 16.035.165 (+30.662 unità), il rapporto attivi e pensionati sale fino a 1,4578, miglior risultato degli ultimi 23 anni e, soprattutto, valore molto prossimo a quell’1,5 che potrebbe garantire la sostenibilità di medio-lungo periodo del sistema. Il tutto mentre l’andamento della spesa per prestazioni di natura previdenziale si conferma sotto controllo, per quanto in crescita: nel 2019, ha raggiunto i 230,3 miliardi di euro. L’incidenza sul PIL è del 12,88%, in linea con la media Eurostat.
Il sistema pensionistico obbligatorio
La spesa pensionistica di natura previdenziale comprensiva delle prestazioni è stata nel 2019 di 230,259 miliardi contro i 225,59 del 2018 (+4,66 miliardi). Tenuto conto di entrate contributive pari a 209,4 miliardi (+2,29%), il saldo negativo tra entrate e uscite si è attestato a 20,86 miliardi, riportandosi sui livelli del 2012 ma ancora più elevato della media registrata negli anni Dieci del 2000. Pesa sul disavanzo soprattutto la gestione dei dipendenti pubblici che evidenzia un passivo di oltre 33 miliardi, parzialmente compensato dall’attivo di 6,3 miliardi delle gestioni dei lavoratori dipendenti privati e dai 7,4 miliardi della gestione dei parasubordinati.
L’insostenibile spesa assistenziale italiana
Se, anche in virtù delle circa 150.000 cancellazioni di prestazioni in pagamento dal 1980 o addirittura antecedenti, che hanno mitigato l’incremento del numero di pensionati in buona parte imputabile a Quota 100 e altre misure di pensionamento anticipato, la spesa per pensioni non desta eccessive preoccupazioni, è ancora una volta la spesa per assistenza a confermarsi il punto debole del nostro welfare state.
Nel 2019, l’insieme delle sole prestazioni assistenziali (prestazioni per invalidi civili, indennità di accompagnamento, pensioni e assegni sociali e pensioni di guerra) ha toccato quota 4.177.011, quasi 56.000 prestazioni in più rispetto al 2018, per un costo complessivo di 22,835 miliardi, importo in costante aumento negli ultimi 8 anni. E benché le altre prestazioni assistenziali (integrazioni al minimo, maggiorazioni sociali e importo aggiuntivo) si riducano, i beneficiari di prestazioni totalmente o parzialmente assistite sono, senza considerare le quattordicesime mensilità, 8.137.540 e, al netto delle duplicazioni relative ai soggetti contemporaneamente percettori di pensioni di invalidità civile e indennità di accompagnamento, 7.728.678, vale a dire il 48,2% dei pensionati totali.
«È quasi assurdo pensare che in un Paese del G7 come l’Italia quasi il 50% di pensionati non sia stata in grado di versare neppure 15/17 anni di contributi regolari e debba quindi essere assistita dallo Stato ed è allora importante che la politica rifletta su questi numeri”, ha commentato Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. “Innanzitutto, perché non sembrano rispecchiare le reali condizioni socio-economiche del Paese e, in secondo luogo, perché non va dimenticato che, a differenza delle pensioni finanziate da imposte e contributi, queste prestazioni gravano per 25,77 miliardi sulla fiscalità generale e non sono neppure soggette a imposizione fiscale”.
Il peso del welfare nel bilancio statale
Sono tre in particolare i rapporti che danno l’idea dell’incidenza del welfare sulla vita economica del Paese: quello sul PIL, che tocca il 27,32% (il 30% considerando anche casa e altre funzioni sociali); quello sul totale delle entrate contributive e fiscali, arrivato al 58,04%; e quello sulla spesa totale, che si attesta al 56,08%: in buona sostanza, al welfare è destinato più di un quarto di quanto si produce o più della metà sia di quanto si incassa sia di quanto si spende in totale. “Ancora una volta siamo davanti a numeri che smentiscono il sentire comune secondo cui l’Italia spenderebbe meno degli altri Paesi dell’Unione Europea per il welfare”.
Al contrario, la spesa sociale italiana, trascinata da un’assistenza fuori controllo, è elevata e cresce a ritmi difficilmente sostenibili in futuro. Nel dettaglio, secondo le rilevazioni del rapporto curato dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, i trasferimenti a carico della fiscalità sono passati dai 73 miliardi del 2008 agli attuali 114,27 con un incremento strutturale di oltre 41 miliardi e un tasso di crescita annuo superiore al 4%, superiore all’inflazione, al PIL e addirittura di ben 3 volte all’incremento della spesa per pensioni, impropriamente additata come la causa di tutti i mali. “Già nelle precedenti pubblicazioni abbiamo più volte sottolineato come dalla riclassificazione della spesa sociale emerga che l’incidenza della spesa pensionistica IVS sul PIL sia assolutamente in linea con quella europea, ed è così anche per il 2019”, spiega Brambilla.
“Ecco allora che la corretta determinazione e comunicazione di questi dati diventa fondamentale per impedire che sovrastime convincano Unione Europea e agenzie di rating a pretendere tagli e riforme del sistema pensionistico, quando il problema, tutto italiano, è l’esplosione di forme assistenziali messe impropriamente sotto il capitolo pensioni”.