Mercati asiatici, un must have del portafoglio multi-asset

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È giunto il momento di sfatare il mito dei mercati asiatici più rischiosi di quelli sviluppati, e sono i dati a dimostrarlo. Se si considera il drawdown dell’indice MSCI Emerging market Asia a marzo 2020, in piena crisi pandemica, questo ha raggiunto il valore del 29,4%, contro il 35% del MSCI Europe, mostrando un’ottima resilienza. Ci sono voluti 74 giorni per ritornare ai livelli pre crisi, mentre in Europa ancora dobbiamo assistere ad un vero recupero, e negli Stati Uniti l’indice azionario ha impiegato 99 giorni per il rimbalzo. È chiaro ormai agli investitori che non si possono più trascurare le opportunità provenienti da quest’area. Abbiamo chiesto ad alcuni fund buyer, in occasione della tavola rotonda sugli ETF che replicano questi mercati, come riuscire a coglierle al meglio.

Gli ETF sono strumenti che possono aiutare gli investitori ad esporsi in maniera particolareggiata a determinati segmenti di mercato, ad un’area geografica precisa o a un singolo Paese. Ciò spiega l’aumento dei flussi nell’ultimo anno sui mercati asiatici, periodo in cui gli investitori hanno cercato di sfruttare al meglio tutte le opportunità che questi Paesi sono in grado di offrire, proseguendo tutt’ora per questa strada. “L’evoluzione di queste economie è già presente nella rappresentazione settoriale degli indici, che si riflette anche sugli ETF. Per esempio, oggi il settore dell’information technology è quello più rappresentato nell’MSCI Emerging Market Asia, mentre nel 1995 pesava solo il 5%”, commenta Mauro Giangrande, head of Passive Sales Italy, Iberia, France & MENA di Xtrackers, DWS Group. “In parte questo spiega la maggiore resilienza che abbiamo assistito in questi mercati, dato che oggi stiamo vivendo un boom della tecnologia e che le revenues dei titoli tecnologici dell’indice provengono principalmente da consumi interni”, spiega l’esperto. “Nell’ultimo anno sono aumentati gli ETF che investono su questi mercati, aprendo nuove possibilità per gli investitori”, conclude.

Inserire asset asiatici consente quindi di avere un forte effetto decorellante in portafoglio. “I mercati asiatici, e in particolare quelli cinesi, sono trainati da dinamiche interne, sia economiche, sia di policy making”, spiega Francesco Rossi, Lead portfolio manager di Euromobiliare Advisory SIM. “Queste asset class possono, quindi, far la differenza soprattutto nei portafogli più prudenti. Unendo strategie attive a ETF. Man mano che le soluzioni a gestione passiva si evolvono con nuove specializzazioni, è possibile inserire un’ulteriore leva gestionale”, afferma il gestore. “Si tratta, infatti, di strumenti che hanno superato importanti prove di robustezza, con l’allentamento delle barriere d’accesso nei mercati asiatici, i problemi legati alla trasparenza dei sottostanti sono stati gradualmente superati e hanno trovato sempre più peso all’interno dei portafogli istituzionali”, prosegue.

Come gli ETF possono amplificare l’effetto decorrelante

Accesso rapido ai segmenti di mercato e bassi costi sono le caratteristiche che rendono appetibili gli ETF agli occhi degli investitori che vogliono esporsi ai mercati emergenti. È vero, però, che queste peculiarità valgono in generale, ma nel caso dei mercati asiatici, assumono un surplus che non può essere sottovalutato. “Il costo degli investimenti nei mercati asiatici è un fattore che ha una certa rilevanza in quanto i prodotti attivi specializzati in queste aree geografiche sono mediamente più cari”, spiega Claudio Casadei, portfolio manager di Optima Sim. “La gamma di prodotti passivi nell’ultimo periodo si è ampliata, con expertise in specifici settori o Paesi, sia sull’azionario, che sull’obbligazionario. Inoltre queste classi di attivo sono interessanti anche dal punto di vista della diversificazione dei rischi di portafoglio”, aggiunge l’esperto.

Il costo non può considerarsi l’unica variabile nella scelta dello strumento da inserire in portafoglio, anche perché nel caso di fondi attivi in classe istituzionale, la competizione è quasi nulla. “il primo passo è osservare l’indice replicato dall’ETF, capire se questo effettivamente riflette ciò al quale vogliamo esporci”, dichiara Giorgio Bensa, fund selector di Ersel SIM. “Se questo risponde alle nostre esigenze, allora può essere preferibile ad un fondo attivo, dato che non è soggetto all’aleatorietà derivante dalle singole scelte del gestore. Nel caso contrario, la scelta della gestione attiva è obbligata. Tuttavia, il fatto che l’offerta di ETF in questo mercato sia cresciuta, è positivo, perché dà maggiori possibilità di individuare i segmenti specifici di mercato e le opportunità che si vogliono cogliere”, conclude il fund selector.