L’analisi del database Morningstar Direct individua i prodotti, tra fondi comuni ed ETF, che potrebbero essere impattati dalle linee guida ESMA sui nomi ESG dei fondi. La maggioranza è art. 8 SFDR.
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Sono circa 1.600 i fondi europei esposti ad almeno un titolo “potenzialmente in violazione delle regole di esclusione” sancite dai Paris-aligned benchmark (PAB) e dai climate-transition benchmarks (CTB). Almeno, è quanto rileva Morningstar in una recente analisi in cui identifica 4.300 fondi comuni ed ETF (circa il 15% dei fondi commercializzati nell’UE) presenti nel database Morningstar Direct che utilizzano il termine “ESG” nel nome o altri termini legati alla sostenibilità, e che potrebbero rientrare sotto l’ombrello delle linee guida diffuse da ESMA lo scorso 14 maggio.
Sul totale identificato, sottolinea Morningstar, si può risalire alle partecipazioni azionarie di 2.500 prodotti, e appunto da questo universo di analisi via via più ristretto, il provider finanziario ha individuato i 1.600 fondi con azioni “in bilico”, indicando come un eventuale disinvestimento dai titoli in violazione del documento della Consob europea ammonterebbe a circa 40 miliardi di dollari.
L’analisi, tuttavia, tiene conto anche della scelta degli asset manager di eliminare la terminologia individuata con precisione da ESMA nel documento il cui obiettivo finale, come già spiegato anche da FundsPeople, è la protezione dei risparmiatori dal rischio greenwashing.
ESMA: le sei categorie e i requisiti di esclusione
Per chiarezza, è opportuno ricordare che, affinché un fondo possa avere la denominazione ESG le linee guida prevedono:
- un minimo dell’80% di investimenti che soddisfano caratteristiche ambientali o sociali, o obiettivi di investimento sostenibili;
- le esclusioni stabilite dalla normativa UE per PAB e CTB.
Inoltre, i fondi con il termine chiave “sostenibile” nella denominazione sono tenuti a investire “in modo significativo” in asset sostenibili; e i fondi che utilizzano termini legati alla “transizione” o all’“impatto” sono soggetti a specifici requisiti qualitativi.
ESMA ha creato sei categorie distinte di termini che fanno scattare i requisiti minimi: ambientale, sostenibilità, impatto, sociale, governance e transizione.

In particolare, l’autorità di controllo UE non ha specificato la quota di investimento ESG di un fondo affinché questo investimento sia considerato “significativo”.
Il nodo è centrale, in quanto una prima bozza del documento indicava un limite del 50%, mentre la versione finale delega alle singole autorità nazionali (NCAs) il compito di “interpretare” la norma. Ad oggi circa il 41% dei fondi (o il 43% in termini di AuM) che utilizzano una parola legata alla sostenibilità nella denominazione si impegna a investire almeno il 50% in investimenti sostenibili. Quasi il 50% dei fondi “sostenibili” punta a più del 40% di investimenti sostenibili. Questa percentuale sale al 56% (o al 60% del patrimonio) quando la soglia minima per gli investimenti sostenibili “significativi” cala al 30 per cento.

Articolo 8, i più esposti
In termini di SFDR compliance, la stragrande maggioranza dei fondi individuati (il 79%) è classificata come articolo 8, mentre il 19% si qualifica come articolo 9.
Emerge dall’analisi anche che circa 354 fondi (21%) sono gestiti passivamente e detengono quasi 19 miliardi (45%) in titoli interessati dalle regole di esclusione. Gli analisti, in questo caso, si aspettano che alcuni fondi passivi (probabilmente quelli con un focus ambientale e quelli SRI best-in-class) cambino gli indici sottostanti e si allineino alla regola di esclusione dei PAB, in modo da poter mantenere la denominazione. Tuttavia, molti fondi passivi light green (ad esempio, i fondi ESG-screened) è probabile che decidano di cambiare “brand”.

Sul fronte della valutazione dei 1.600 prodotti, emerge come il 70% detenga meno di cinque titoli “a rischio”. Di conseguenza, sono circa 500 (il 30%) i prodotti per cui “il mantenimento di termini legati agli ESG nel nome richiederebbe maggiori aggiustamenti del portafoglio e sarebbe potenzialmente più problematico a seconda del tipo di strategia e delle dimensioni del portafoglio (solo sulla base delle regole di esclusione, ignorando altri requisiti legati alle linee guida)”.

Settori e Paesi più interessati
Va da sé che i settori più interessati da eventuali dismissioni siano quelli dell’energia, dell’industria e dei materiali di base. In particolare, sottolineano gli analisti, “le società del settore petrolifero e del gas sono le più rappresentate in termini di valore azionario, seguite dalle ferrovie e dai prodotti chimici speciali”. Mentre i Paesi che potrebbero avere il maggior impatto dai disinvestimenti legati all’applicazione delle linee guida ESMA sono, in termini di stock azionario, gli Stati Uniti (60 società), seguiti dalla Francia (10 società); mentre in termini di numero di società primeggia la Cina con 90 imprese, di cui più di un terzo operanti nel settore del carbone e in violazione dei PAB/CTB.