21Shares, ecco cosa dovremmo aspettarci dopo la bancarotta di FTX.

Eliézer Ndinga. Foto concessa (21Shares).
Eliézer Ndinga. Foto concessa (21Shares).

Contributo a cura di Eliézer Ndinga, director of Research di 21Shares. Contenuto sponsorizzato.

Lo scorso 2 novembre, CoinDesk ha pubblicato un report in cui si affermava che 5,8 miliardi di dollari in asset della società Alameda Research, su un totale di 14,6 miliardi, erano investiti nel token FTT, emesso da FTX, dimostrando che la separazione dei due enti fondati da Sam Bankman-Fried non era poi così netta. A seguito di questa rivelazione, Changpeng Zhao (CZ), presidente di Binance, ha annunciato di voler liquidare la sua intera quota di FTT, innescando così un brusco calo del prezzo del token, portando a una corsa agli sportelli e a una forte preoccupazione sulla solvibilità di FTX, che poi si è rivelata fondata. A peggiorare ulteriormente il quadro, Binance, dopo aver condotto una due diligence, ha deciso di non rispettare la dichiarazione d’intenti (LOI) non vincolante nella quale affermava di impegnarsi ad acquistare (e quindi a salvare) la piattaforma di Bankman-Fried. Non potendo più sperare in iniezioni di nuova liquidità, lo scorso 11 novembre FTX.com, FTX US e Alameda Research hanno presentato istanza di bancarotta.

Questa è, in sintesi, la cronistoria degli eventi che hanno portato al fallimento di una delle piattaforme di scambio cripto più grandi al mondo; un episodio che avrà sicuramente ripercussioni su tutto l’universo dagli asset digitali, non soltanto a livello di prezzi, ma anche in molti altri segmenti. Questo ha spinto sempre più investitori a chiedersi cosa dovremmo aspettarci per le prossime settimane e anche per i prossimi mesi, con gli effetti del contagio che andranno sicuramente ad impattare ogni area dell’universo cripto. In risposta a questi interrogativi, noi di 21Shares riteniamo che siano tre gli ambiti a cui si dovrebbe prestare maggiore attenzione.

Investitori istituzionali.Nel corso degli anni, FTX ha raccolto, attraverso vari round di investimento, 1,8 miliardi di dollari da oltre 80 investitori. Tra questi, Sequoia ha già ridotto a zero il valore delle sue quote di FTT e molti altri sono attualmente sotto indagine da parte delle autorità con l’accusa di non aver attuato dei controlli autentici. Da un lato, questo può far capire a numerosi investitori diffidenti che il crollo di una piattaforma non comporta il fallimento dei protocolli decentralizzati o della tecnologia blockchain; ma, dall’altro, la dura realtà è che Bankman-Fried era diventato col tempo il volto pulito del settore ed è molto difficile che nuovi investitori istituzionali entreranno nel comparto nei prossimi mesi, anche per evitare rischi reputazionali.

Piattaforme di scambio centralizzate.Uno dei pochissimi lati positivi del crollo di FTX è che accelererà l’autoregolamentazione delle criptovalute. Le piattaforme di scambio centralizzate e, più in generale, i provider di servizi per la custodia dovranno fare sempre maggiore ricorso a programmi detti “Proof of Reserve”, che li obbliga a dover ottenere un attestato dalle autorità competenti che dimostri che l’ammontare di riserve è in linea con i bilanci degli utenti. Questo è forse l’unico modo per potersi conquistare la fiducia dei clienti. Non è un caso che, subito dopo il caso FTX, grandi piattaforme come Binance, Crypto.com, OKX e altre abbiano annunciato che si sottoporranno (o intendono sottoporsi) periodicamente a programmi di Proof of Reserve.

Regolamentazione. Questa è probabilmente l’ambito circondato dal più alto grado di incertezza. Prima della bancarotta, Bankman-Fried aveva pubblicamente fatto attività di lobbying a Washington, pubblicando il suo DCCPA, un regolamento presentante degli standard che il mercato delle criptovalute dovrebbe rispettare in modo da creare maggiore chiarezza e proteggere gli investitori in attesa di una vera e propria normativa federale. In realtà, il DCCPA è stato fortemente criticato in quanto metteva in dubbio lo status stesso della finanza decentralizzata in qualità di sistema aperto e resistente alle censure. Pertanto, è molto probabile che la fine di FTX rappresenti la pietra tombale anche della DCCPA, anche se non sappiamo come verrà sostituita. Possiamo solo augurarci che i legislatori capiscano che FTX e Alameda erano entità centralizzate, fondate sulla fiducia degli utenti e con dinamiche interne quantomeno oscure. A nostro avviso, sarebbe auspicabile che le autorità statunitensi adottassero finalmente delle linee guida chiare, che non puniscano la DeFi per gli errori della finanza centralizzata e che spingano gli smart contract a rafforzarsi autonomamente attraverso una blockchain accessibile a tutti, che assicuri un sistema più trasparente e sostenibile.