COP26: il buono, il cattivo e il moderato

Mike Appleby notizia
Mike Appleby, Immagine concessa (Liontrust)

CONTRIBUTO a cura di Mike Appleby, investment manager del Liontrust Sustainable Investment team. Contenuto sponsorizzato da Liontrust.

Con la fine della COP26 il dibattito si è ora spostato sul bilancio dell'ultima conferenza delle parti sul cambiamento climatico e ci si chiede se ha effettivamente raggiunto gli obiettivi prefissati e sia stata all'altezza del grande clamore suscitato. Rispetto a quest'ultimo punto, la risposta è un inevitabile no, ma abbiamo sempre detto che chiunque si aspetti che un singolo evento possa fermare il cambiamento climatico non può che rimanere deluso, e alla fine troviamo nel buono, nel cattivo e nel moderato il nostro bilancio della COP26. Continuiamo a credere che l'inasprimento dei regolamenti per ridurre le emissioni di gas serra (GHG) sia inevitabile e che il mondo vedrà un enorme sconvolgimento con lo sviluppo della transizione energetica.

Come per ogni evento di questo tipo, la COP26 di quest'anno ha affrontato molti punti cruciali: i finanziamenti, naturalmente, ma anche la disparità di emissioni tra i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo e una finestra di tempo che si sta rapidamente accorciando per agire man mano che ci avviciniamo al 2030. Questo significa che mantenere la temperatura al di sotto di 1,5 gradi e accelerare il ritmo del cambiamento sono obiettivi centrali, oltre a proteggere le comunità e gli habitat naturali, mobilitare i finanziamenti e lavorare insieme.

Iniziando dal lato positivo, la grande attenzione mediatica ha certamente aumentato la consapevolezza del cambiamento climatico e sono stati firmati accordi volontari per ridurre le emissioni di metano, fermare la deforestazione e la Glasgow Finance for Net Zero Initiative.

Per quanto riguarda il "cattivo", abbiamo assistito ad una dichiarazione di transizione globale dal carbone all'energia pulita firmata da più di 190 Paesi, ma questa è stata smorzata all'ultimo minuto da Cina e India rimanendo così in una situazione in cui Paesi come Stati Uniti, Giappone e Australia non sono ancora pienamente intenzionati a eliminare il carbone in maniera graduale. Ci sono anche continui ritardi che riguardano i 100 miliardi di dollari all'anno promessi per contrastare il cambiamento climatico.

Infine, veniamo al “moderato”: l'obiettivo centrale della COP26 era quello di mantenere la temperatura entro 1,5 gradi e lo è, quasi. Il pianeta è ora passato a 1,2°C di riscaldamento e se consideriamo lo scenario più ottimistico, che presuppone la piena attuazione di tutti gli obiettivi annunciati, saremmo sotto l'obiettivo di Parigi di 2 gradi, ovvero un incremento di 1,8°C, entro il 2100. Da un punto di vista più concreto, l'azione del pianeta basata sulle politiche attuali ci vedrebbe ben al di sopra dell'accordo di Parigi a quel punto, a 2,7°C, il che richiede un'urgenza crescente nelle restanti COP sul cambiamento climatico fino al 2030 e una regolamentazione più stringente per ridurre le emissioni a livello globale nei prossimi decenni.

Come per molti dei dati alla base dei nostri temi di investimento sostenibile, quelli sul cambiamento climatico sono allarmanti e la traiettoria delle emissioni di gas serra non sembra invertirsi, con l'anidride carbonica nell'atmosfera ancora in aumento. Il pianeta continuerà a dipendere da un'energia che possa soddisfare il nostro stile di vita moderno e attualmente otteniamo l'80% dell'energia primaria dai combustibili fossili, che, in modo eloquente, è ancora misurata in termini di tonnellate di petrolio equivalente.

Guardando più a fondo, tuttavia, si evidenzia una transizione del settore energetico e sottolineiamo che il cambiamento può essere, sia non lineare, che molto rapido: una volta trovata un'alternativa migliore e più economica, questa sostituisce rapidamente quella esistente. Negli ultimi 30 anni si è registrata una riduzione dell'intensità delle emissioni di gas serra nelle principali economie soprattutto in Cina, dove le emissioni per unità di PIL si sono più che dimezzate. Nel frattempo, l'innovazione e la scalabilità hanno fatto scendere il costo delle tecnologie rinnovabili: dal solare, all'eolico, alle batterie agli ioni di litio. Tutto ciò si traduce in una crescita esponenziale della domanda. Insieme a questo è arrivata la riduzione della domanda per i settori ad alta emissione di CO2: per esempio la produzione di elettricità da carbone negli Stati Uniti è scesa del 61% dal 2008.

Nel processo di investimento della gamma Liontrust Sustainable Future, parliamo di una piramide interconnessa che guida i cambiamenti a livello strutturale: la scienza che porta una maggiore comprensione del problema, la società che chiede un cambiamento e i governi che definiscono la politica, e le aziende che sviluppano soluzioni. Dal nostro punto di vista, queste aziende hanno due vantaggi, che però sono mal interpretati dal mercato: una forte crescita e una minore concorrenza. Il fatto che il percorso verso l’obiettivo zero carbonio non richieda nuove invenzioni strabilianti è incoraggiante: siamo sulla strada verso il 25% in più di energia solare, il 60% delle vendite globali di auto elettriche e tutti i nuovi edifici saranno a carbonio zero entro il 2030, per esempio.

Come abbiamo sottolineato fin dal lancio dei fondi Sustainable Future nel 2001, la necessaria riduzione delle emissioni di carbonio avrà un impatto su tutta l'economia, compreso il nostro sistema energetico e il modo in cui riscaldiamo e raffreddiamo gli edifici, guidando anche le trasformazioni nei trasporti, nei processi industriali, nell'agricoltura e nella gestione del territorio. Molti dei nostri temi sostenibili sono legati al passaggio dai combustibili fossili, tra cui l'efficienza energetica e industriale, le energie rinnovabili e le economie circolari, ma anche come costruiamo le città, ci nutriamo e finanziamo gli investimenti necessari per consentire una rapida transizione.

Questo passaggio a un'economia a bassissime emissioni di carbonio avrà anche un notevole impatto sui rendimenti degli investimenti: le aziende che contribuiscono al cambiamento dovrebbero crescere, mentre quelle sul lato sbagliato della transizione sono a rischio di declino progressivo. Continuiamo a investire nei vincitori, evitando i perdenti, e ci impegniamo con le aziende per incoraggiare obiettivi di decarbonizzazione più ambiziosi come parte della nostra 1.5 Degree Transition Challenge.