Criptovalute e compatibilità ESG

Contributo a cura di Lucia Meloni, Lead ESG analyst, ESG Investments & Research di Candriam. Contenuto sponsorizzato.

Le criptovalute sono un bene speculativo non finanziario paragonabile all'arte contemporanea, il cui valore non è oggettivo o intrinseco, né basato sui fondamentali. L'aumento del prezzo del Bitcoin ha evidenziato come le criptovalute abbiano facile accesso. Tuttavia, a differenza delle valute reali, non agiscono come depositi di valore e non derivano il loro valore dall'avere "corso legale".

Inoltre, non sono domiciliate in uno specifico Paese, il che complica l'allineamento politico e normativo, un requisito necessario non solo per la credibilità e l'affidabilità delle criptovalute, ma anche per frenarne la diffusione. In tale scenario, la diffusione del COVID-19 ne ha accelerato l’uso, mentre accelerava l'incorporazione di fattori ESG da parte degli investitori.

Ma le criptovalute sono compatibili con i criteri Esg?

Innanzi tutto, le criptovalute sono spesso usate per riciclare denaro sporco e condurre operazioni bancarie sotto il radar dei sistemi bancari regolamentati. Un rapporto di CipherTrace ha rivelato che nel 2020 i principali furti di criptovalute, gli hack e le frodi hanno totalizzato 1,9 miliardi di dollari, stime che probabilmente rappresentano una piccola parte di ciò che viene effettivamente riciclato attraverso le criptovalute, perché i criminali con maggiori risorse sono difficili da identificare.

In secondo luogo, secondo alcuni le criptovalute promuovono l’inclusione finanziaria, partendo dalla premessa che basti una connessione internet per avere accesso a un sistema di investimento, in particolare a chi vive dove l'accesso ai servizi bancari è spesso complesso. In realtà, dover pagare uno smartphone e una connessione internet non aiuta gli abitanti più poveri del mondo, e anche quelli che possono permettersi di accedere alle criptovalute dovranno affrontare costi molto alti per convertirle in denaro corrente, e la volatilità delle criptovalute potrebbe ridurre il loro capitale.

In terzo luogo, l'anonimato offerto dal mercato delle criptovalute ha permesso la diffusione di truffe ingegnose. Nel 2020 la metà di tutti i furti, per un totale di 129 milioni di dollari, erano hack legati alla finanza decentralizzata (DeFi,) una minaccia che potrebbe aumentare nei prossimi anni, dato che alcuni scambi centralizzati si stanno trasformando in decentralizzati per evitare di attenersi alle procedure Know Your Customer (KYC). Con facili trasferimenti transfrontalieri, la crescita della criminalità informatica legata alle criptovalute evidenzia l'urgente necessità di un intervento politico e di un allineamento normativo internazionale.

Oltre ciò, il mining di Bitcoin utilizza circa lo 0,4% del consumo energetico globale. Più ci si avvicina al limite dei 21 milioni di Bitcoin esistenti, più i puzzle (sistemi che garantiscono l'integrità dell'emissione di nuove unità) sono complessi, e richiedono energia. Secondo l’Università di Cambridge il consumo annuale di elettricità del mining di Bitcoin supera quello di alcune nazioni, e il 75% dell'estrazione globale di Bitcoin avviene in Cina, in aree in cui l'elettricità è prodotta attraverso la combustione di carbone termico.

Infine, esistono anche le cosiddette criptovalute "non mining", come Ripple, che non hanno bisogno del supporto di computer ad alta potenza per convalidare i blocchi delle transazioni, quindi più efficienti dal punto di vista energetico. Tuttavia, il tipo di controlli per per convalidare i blocchi di transazione di queste criptovalute pone un problema di governance. Usano infatti un sistema in cui se un'entità riesce a comprare il 51% di tutte le monete può, in teoria, tenere in ostaggio il network e i suoi stakeholder

La percezione dell’ingente consumo di energia potrebbe cambiare se le criptovalute più efficienti dal punto di vista energetico supereranno le loro pari, o se in Cina si producesse elettricità attraverso energie rinnovabili, o si introducesse una carbon tax sulle criptovalute. I possibili sviluppi sul lato normativo sono più facili da prevedere. Il presidente Biden sta proponendo maggiori risorse per le autorità fiscali del Paese e le imprese che ricevono criptovalute per più di 10.000 dollari dovranno segnalarle alle autorità fiscali.

Queste soluzioni sono però del tutto teoriche e con troppe incognite. Per esempio, non si sa se gli investitori abbiano interesse a pagare un premium "green" per le cripto che usano solo energia verde. E non è certo che gli sforzi legislativi – come in Australia dove i legislatori stanno cercando di includere le criptovalute nella legislazione esistente sul riciclaggio di denaro - si riveleranno efficaci.

Per concludere, allo stato attuale delle cose, crediamo che le criptovalute abbiano molta strada da fare per soddisfare i criteri ESG. Finché non sarà presa una decisione netta per risolvere tutti i temi trattati un investimento diretto significativo in cripto potrebbe causare gravi danni alle credenziali ESG di un asset manager o di un grande investitore istituzionale.