Contributo a cura di Mike Brooks, head of Diversified Multi-Asset di Aberdeen Standard Investments. Contenuto sponsorizzato.
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Contributo a cura di Mike Brooks, head of Diversified Multi-Asset di Aberdeen Standard Investments. Contenuto sponsorizzato.
Cosa possono aspettarsi gli investitori da una strategia di investimento diversificata? In che modo l’evoluzione degli investimenti multi-asset ha contribuito a plasmare le best practice odierne? E cosa ci riserva il futuro?
Harry Markowitz, premio Nobel e pioniere della teoria degli investimenti, definì la diversificazione come “l’unico pasto gratis in campo finanziario". In teoria, la diversificazione consente di contenere il rischio senza sacrificare il rendimento.
La realtà però non sempre corrisponde alla teoria. Durante questo millennio ci sono state due grandi fasi di ribasso dei mercati azionari. La maggior parte dei portafogli tradizionali bilanciati ha perso molto durante lo scoppio della bolla delle dotcom. I guadagni ottenuti grazie ai titoli di Stato non sono bastati a compensare le perdite del mercato azionario. Gli investitori hanno reagito diversificando in una gamma più ampia di strategie e asset class. La maggior parte dei fondi multi-asset ha, però, riportato un calo analogo durante la crisi finanziaria globale. La ripresa, durata un decennio a partire dai minimi toccati nel 2009, ha messo in difficoltà anche le strategie diversificate. Dopo l’ultima crisi, la maggior parte delle strategie multi-asset ha fatto peggio dei mercati azionari.
Oggi, i rendimenti obbligazionari nei mercati sviluppati sono estremamente bassi rispetto ai dati storici. Pertanto offrono scarsa protezione agli investitori in caso di rialzo dell’inflazione. Le valutazioni del mercato azionario appaiono alte e fanno sì che i mercati siano vulnerabili in vista della conclusione di questo ciclo economico prolungato. Queste dinamiche rendono più appetibili le asset class alternative, che offrono rendimenti potenzialmente interessanti grazie a diversi fattori trainanti fondamentali.
Cosa possono aspettarsi gli investitori da un portafoglio multi-asset diversificato? Per rispondere a questa domanda esaminiamo i successi e i fallimenti degli investimenti multi-asset negli ultimi sessant’anni. Illustriamo l’evoluzione delle strategie di investimento dalla pubblicazione, nel 1952, dell’importante saggio di Markowitz sulle scelte di portafoglio. Valutiamo poi le best practice adottate oggi. Infine diamo uno sguardo al futuro.
La preistoria della diversificazione
La diversificazione è vecchia come la finanza. Le tavolette cuneiformi scoperte nella Turchia moderna riportano le attività dei mercanti di Assur, città-stato dell’antica Mesopotamia. Circa 4.000 anni fa, i mercanti costituirono sofisticate partnership azionarie che durarono per molti anni . Tali partnership consentivano il finanziamento dei costi fissi per equipaggiare e pagare il personale delle carovane: asini per il trasporto di tessuti nel viaggio di andata e di argento nel viaggio di ritorno. Questo sistema consentiva inoltre agli investitori di diversificare i rischi, investendo in più di una partnership.
Gli investimenti istituzionali si sono concentrati sul settore assicurativo per 150 anni, dalla prima espansione all’inizio del 19° secolo fino alla metà del 20° secolo. Alla base di questa industria c’era la diversificazione del rischio tra un gruppo di assicurati. La strategia d’investimento mirava al contenimento del rischio e rappresentava una forma di diversificazione. Le compagnie di assicurazione passarono dai mercati del credito pubblici a quelli privati nella seconda metà del 19° secolo, in cerca di rendimenti più altiii.
La Prima Guerra Mondiale segnò l’inizio di un nuovo ciclo inflazionistico, che rese necessaria l’adozione di una diversa strategia di investimento. La pubblicazione del saggio Common Stocks as Long Term Investments nel 1924 si concentrava sul miglior rendimento offerto dalle azioni. Qualche investitore innovativo iniziò a investire in azioni subito dopo la pubblicazione, compreso John Maynard Keynes nel suo ruolo di presidente della National Mutual Life Assurance Society.
Diversificazione 1.0: Il portafoglio 60:40
La pubblicazione della teoria della selezione del portafoglio di Harry Markowitz nel 1952 segnò l’inizio dell’era della Moderna teoria del portafoglio. I rischi del portafoglio potevano essere quantificati. Oggi l’analisi del rischio è integrata con l’analisi del rendimento previsto.
Il lavoro di Markowitz fornì le basi matematiche per l’ottimizzazione del portafoglio, mettendo a disposizione degli investitori uno strumento per costruire i portafogli situati sulla “frontiera efficiente” e offrendo il massimo rendimento previsto per un determinato grado di rischio.
Il saggio rappresentò anche il punto di partenza del lavoro di Bill Sharpe sul Capital Asset Pricing Model (1964). Sharpe illustrò in che modo gli investitori avrebbero valutato gli investimenti seguendo religiosamente i suggerimenti di Markowitz in fase di costruzione del portafoglio. Introdusse, inoltre, il concetto di beta, che misura la volatilità rispetto al mercato.
L’influenza di questi due saggi continua ancor oggi.
Sulla base delle considerazioni di Markowitz, i fondi pensione USA applicarono una strategia che investiva il 60% in azioni e il 40% in obbligazioni. Gli investitori hanno ampliato i loro orizzonti anche in altre asset class, ma molti fanno ancora riferimento a questo benchmark.
L’evoluzione del pensiero di Sharpe portò alla nascita e al boom dei fondi indicizzati.
Diversificazione 2.0: le avventure nel mercato azionario e obbligazionario
Negli anni ‘80 e ‘90 la combinazione di quattro tendenze portò a nuovi sviluppi:
- deregolamentazione
- crescita rapida dei mercati emergenti
- innovazione finanziaria e
- “scoperte” accademiche.
La fine del sistema dei cambi fissi di Bretton Woods nel 1973 aprì le porte a una nuova fase di volatilità sui mercati valutari. Nei successivi vent’anni, i Paesi abbandonarono i controlli sul capitale che avevano limitato i flussi di investimento verso i mercati esteri. Gli investitori reagirono incrementando le esposizioni in azioni estere.
Nel 1981, Antoine van Agtmael di International Finance Corporation (una divisione della Banca Mondiale) coniò l’espressione “mercati emergenti”. Gli investitori avevano assistito alle brillanti performance del mercato azionario giapponese durante un trentennio di rapida crescita economica. Le “tigri” economiche come Hong Kong, Singapore, Corea e Taiwan adottarono con successo una strategia di industrializzazione analoga. I fondi pensione negli Stati Uniti e in Europa si trovarono di fronte a un periodo difficile per le industrie manifatturiere interne, con il deterioramento della loro posizione competitiva. Nell’asset allocation, tali sviluppi favorirono il passaggio dai mercati azionari dei Paesi sviluppati a quelli dei Paesi emergenti.
La robusta performance economica dei mercati emergenti contribuì anche a migliorare la sostenibilità del debito. Il debito dei mercati emergenti iniziò a registrare abbondanti afflussi di capitale da parte di investitori istituzionali.
L’innovazione finanziaria negli Stati Uniti portò alla creazione di tre nuovi mercati.
Nel 1968 vennero lanciati i titoli MBS garantiti da ipoteca: Ginnie Mae garantì il primo pass-through di un prestatore qualificato. Oggi queste obbligazioni costituiscono oltre un quarto dell’indice dei bond investment grade Bloomberg Barclays US Aggregate.
Il mercato high yield prese piede negli anni ‘80. Le obbligazioni high yield sono sempre esistite. In precedenza, però, si trattava di “fallen angel”, titoli emessi come investment grade ma poi declassati a titoli spazzatura quando gli emittenti si trovavano in difficoltà. Verso la fine degli anni ‘70 venne lanciata la prima emissione di obbligazioni sub-investment grade sul mercato primario. Col boom dei leveraged buyout negli anni ‘80, il flusso delle emissioni obbligazionarie è diventato continuo. Drexel Burnham Lambert, sotto la guida di Mike Milken, dominò il mercato e trovò compratori disponibili.
Il mercato dei prestiti con effetto leva si sviluppò alla fine degli anni ‘90. La documentazione per i prestiti venne standardizzata consentendo l’evoluzione del mercato secondario. Il boom nei primi anni del 2000 segnò l’inizio di una nuova fase nel processo di diversificazione.
Gli studi accademici rivelarono due stili di investimento che attirarono molta attenzione. Uno studio del 1981 di Rolf Banz illustrò la robusta performance storica delle società minori. I gestori degli investimenti lanciarono quindi una serie di fondi specializzati nelle società più piccole. Nel 1993, Fama e French pubblicarono una ricerca su un modello a tre fattori: valore, dimensioni e mercato. Gli investitori statunitensi iniziarono a diversificare tra gestori value e growth.
All’inizio del nuovo millennio, gli investitori avevano una posizione diversificata tra azioni locali e internazionali, titoli value e growth, azioni a bassa e a elevata capitalizzazione, mercati sviluppati ed emergenti, titoli di Stato, mutui ipotecari e obbligazioni societarie.
Eppure questo mix rappresentava ancora una combinazione tra azioni e obbligazioni. La strategia venne messa alla prova allo scoppio della bolla tecnologica. I mercati azionari e del credito crollarono contemporaneamente. Con l’ampliamento degli spread di credito, le esposizioni obbligazionarie più diversificate non riuscirono a eguagliare i risultati dei titoli di Stato.
Diversificazione 3.0: il modello di Yale
Dalla crisi tecnologica emerse un pioniere della gestione del portafoglio destinato ad avere un influsso duraturo. Con la leadership di David Swensen, il fondo di investimento della Yale University generò un rendimento positivo sia nel 2001 che nel 2002, che andò a sommarsi ai risultati molto positivi registrati nel decennio precedente. Gli investitori di tutto il mondo presto cercarono di imitare il carattere distintivo di questa strategia, ovvero l’esposizione in strumenti alternativi.
Gli investimenti alternativi di Yale rientravano in tre categorie: a ritorno assoluto (fondi speculativi), beni reali (immobili e risorse naturali) e private equity. Ciascuno di questi strumenti presentava delle sfide per gli investitori inesperti.
I fondi hedge e i gestori private equity spesso impiegavano strategie di investimento complesse. I fondi erano strumenti di investimento non regolamentati. Per la due diligence servivano competenze specialistiche. A fronte della domanda degli investitori si sviluppò un’industria di fondi di fondi. Alcuni dei questi gestori raccolsero “capitale permanente” quotando i loro fondi alla Borsa valori di Londra.
Anche investire in beni reali comportava delle sfide. Il mercato dei REIT USA (fondi di investimento immobiliare) era una struttura accessibile che venne replicata in altre giurisdizioni.
Nel Regno Unito, gli investitori svilupparono un nuovo approccio per la gestione dei fondi pensione. Gli investimenti liability-driven ridussero i rischi per i fondi pensione con il calo dei tassi reali. Una migliore gestione delle passività consentì anche l’adozione di un nuovo approccio di asset management. I fondi growth diversificati applicavano la logica del modello di Yale ai mercati liquidi. In pratica, l’asset allocation passò dalle azioni verso altri titoli growth, come le obbligazioni high yield, il debito dei mercati emergenti e gli immobili quotati.
Ancora una volta una grave fase ribassista ridusse i vantaggi della diversificazione. La crisi finanziaria globale dimostrò la correlazione elevata di molte strategie di fondi hedge con il mercato azionario, almeno durante i periodi di stress del mercato. Molte strategie che investivano nei mercati privati vennero colpite dalle crisi di liquidità. I prezzi delle materie prime scesero in picchiata quando il brusco rallentamento della crescita economica fece crollare la domanda. Questi portafogli multi-asset più diversificati evidenziarono gli stessi svantaggi manifestatisi durante lo scoppio della bolla delle dotcom.
Diversificazione 4.0: alpha, beta e oltre
A che punto si trova oggi la diversificazione? Due tendenze hanno riplasmato questa strategia nel decennio successivo alla crisi finanziaria. Primo, gli investitori hanno imparato a conoscere meglio una gamma più vasta di strategie e asset class. Ciò ha consentito di inserire nei portafogli multi-asset nuove strategie e nuove categorie di investimento. Secondo, i progressi fatti nelle tecniche quantitative hanno ampliato gli strumenti a disposizione sia per la gestione del rischio che per la generazione di rendimento.
Gli investitori possono adottare tre approcci per produrre una crescita e un reddito affidabili: la diversificazione delle asset class, la diversificazione delle strategie e il market timing.
Figura 1. Non solo azioni e obbligazioni: una vasta gamma di opportunità di investimento
Fonte: Aberdeen Standard Investments.
Dopo la crisi si intensificò la necessità di diversificare tra categorie di investimento. Aumentò il fabbisogno di capitali in mercati dove, in precedenza, prevalevano fondi hedge e altri investitori specializzati. Le banche erano riluttanti a erogare prestiti a causa della spinta, da parte delle autorità, a ridurre la loro leva in bilancio. Chi disponeva di capitali era riluttante a collocarli in strategie di fondi hedge costose e complesse. Gli investitori specializzati ebbero così l’opportunità di offrire esposizioni più semplici, long-only, in forme di credito alternative. L’universo di strumenti quotati, che raccoglieva capitali da investire nei mercati del credito specializzati, come i prestiti diretti e i titoli ABS, crebbe fino a raggiungere i 10 miliardi di sterline attuali.
Aumentò anche l’opportunità di investire in beni reali. Il passaggio dei fondi dai mercati privati verso gli strumenti quotati ha migliorato la governance e i costi. Ciò ha portato all’espansione degli strumenti che investono in infrastrutture (oggi un mercato da 15 miliardi di sterline) e in immobili.
Stanno crescendo anche le opportunità di finanziare mercati più specialistici, come i titoli insurance-linked, le royalty nel settore farmaceutico e il finanziamento delle controversie. I fattori trainanti di questi mercati risentono in misura minore della crescita economica rispetto ai portafogli di credito tradizionali.
Figura 2. La crescita del mercato degli strumenti alternativi quotati a Londra
Nuovi approcci di investimento consentono agli investitori di diversificare attraverso le strategie. I gestori tradizionali hanno adottato una serie di tecniche sviluppate dai fondi hedge. Abbinano esposizioni long-only e long/short per generare nuove strategie su una vasta gamma di mercati. Alcune strategie si avvalgono di strumenti derivati per identificare opportunità di investimento indipendenti dai mercati azionari e obbligazionari.
I progressi delle tecniche quantitative hanno consentito agli investitori di comprendere meglio i fattori trainanti del rendimento e i rischi correlati. I gestori di fondi hanno reagito isolando tali fattori in portafogli azionari: dimensioni, valore, momentum, qualità e bassa volatilità. Questi fattori possono essere ricombinati in modo da migliorare la diversificazione.
Ci sono tre possibili fonti di rendimento se si investe in un fattore nel lungo termine: fondamentali, comportamentali e strutturali. Un rendimento trainato dai fondamentali corrisponde al sovrarendimento che si ottiene assumendo un rischio più elevato, per esempio il tasso di rendimento maggiore offerto dalle obbligazioni a più alto rischio. Il rendimento comportamentale deriva dalle strategie che sfruttano il prevedibile comportamento di massa dell’investitore medio sul mercato. Il rendimento strutturale deriva invece dalle opportunità che si creano quando gli investitori sono costretti ad acquistare o vendere titoli a causa delle norme applicabili.
L’analisi quantitativa offre una gamma più ampia di tecniche e indicatori del rischio, che aiutano gli investitori a comprendere le molteplici sfaccettature della diversificazione.
I vantaggi, e i limiti, della diversificazione
La Diversificazione 4.0 presenta dei vantaggi rispetto ai tre modelli precedenti? Per rispondere a questa domanda, gli investitori devono prima decidere cosa possono aspettarsi da un portafoglio multi-asset diversificato. In particolare, gli investitori devono decidere se la diversificazione è mirata a proteggere il portafoglio dai momenti difficili o se, invece, ha come obiettivo la caccia di rendimento nel lungo termine attraverso un universo di investimento più ampio.
Ci sono quattro strumenti che gli investitori in genere utilizzano per coprire i portafogli in vista di momenti difficili. Il primo è rappresentato dai titoli di Stato locali, che offrono protezione contro i rischi deflazionistici. Il secondo dalla liquidità, che contiene la volatilità del portafoglio e dà agli investitori l’opportunità di acquistare a prezzi inferiori durante le battute d’arresto del mercato. Il terzo dall’oro, che riporta generalmente buone performance quando aumenta la minaccia inflazionistica oppure quando sale l’incertezza politica. Il quarto, infine, dalla possibilità per gli investitori di acquistare opzioni il cui valore aumenta quando lo strumento sottostante, al contrario, lo perde.
Queste quattro strategie hanno una caratteristica in comune: riducono il potenziale di rendimento a lungo termine del portafoglio. Titoli di Stato e liquidità offrono premi di rendimento inferiori alle azioni e alle obbligazioni societarie. Storicamente l’oro ha rappresentato una riserva di valore più che una fonte di rendimento. Le strategie in opzioni sono una forma di assicurazione che produce un rendimento positivo previsto per il venditore dell’opzione più che per il suo acquirente.
Invece, un portafoglio diversificato di investimenti alternativi può generare rendimenti comparabili agli strumenti rischiosi tradizionali: azioni e obbligazioni societarie. Una maggiore diversità può generare una maggiore certezza sui rendimenti nel lungo termine. Un universo di investimento più ampio aumenta la possibilità di identificare gli strumenti sottovalutati. Invece, gli asset sensibili all’andamento economico continueranno ad arrancare durante una recessione. E il prezzo degli investimenti meno liquidi scenderà allo scarseggiare della liquidità del mercato.
Quali sono i limiti della diversificazione? Gli asset sensibili all’andamento dell’economia faticheranno contemporaneamente nei periodi di recessione. Il prezzo degli investimenti meno liquidi scenderà allo scarseggiare della liquidità del mercato. Un approccio di asset allocation dinamico può ridurre il rischio ma rende più rilevanti le competenze del gestore. Lo stesso vale per alcune tecniche adottate dai fondi hedge. I modelli del rischio offrono una visione obiettiva del rischio in portafoglio, ma per ottenere una diversificazione efficace serve capacità di giudizio.
Per beneficiare di un approccio più diversificato occorrono competenza ed esperienza nell’analisi delle opportunità di investimento su un’ampia gamma di mercati. Per ottenere risultati serve
Diversificazione 5.0?
Qual è il futuro della diversificazione? Rileviamo sei tendenze che stanno riplasmando la costruzione del portafoglio.
Primo, il passaggio dai mercati pubblici verso quelli privati continuerà. Le pressioni normative per spingere le banche a incrementare il loro capitale azionario continueranno a limitare i prestiti. Anche la natura degli investimenti sta cambiando. I progressi tecnologici stanno sconvolgendo l’economia, i mercati e l’occupazione. Gli investimenti in beni immateriali ora superano quelli in beni materiali negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Questi investimenti implicano un maggior grado di incertezza relativamente al rendimento previsto e possono essere finanziati più facilmente attraverso i fondi private equity rispetto ai mercati pubblici.
In secondo luogo, l’analisi ESG diventa parte integrante dell’intera attività di investimento. La comprensione dei rischi e delle opportunità collegate ai fattori ESG è fondamentale per gli investimenti, insieme all’analisi tradizionale.
Terzo, coi rapidi progressi economici nei Paesi in via di sviluppo negli ultimi 30 anni, non tutti possono essere definiti ancora come “mercati emergenti”. Gli investitori dovranno adottare una prospettiva più eterogenea. Le economie emergenti rappresentano il 60% dell’attività economica mondiale, eppure le loro attività finanziarie rappresentano solamente il 10% del sistema finanziario globaleiii . Man mano che questi mercati si aprono progressivamente agli investitori esteri, sarà necessario che gli investitori accedano a tutte le opportunità disponibili per ottenere un’effettiva diversificazione.
Quarto, i progressi informatici consentiranno un’analisi più granulare della diversificazione. Tuttavia, i modelli del rischio quantitativi continueranno a presentare dei limiti. Una valutazione qualitativa dei fondamenti teorici del rischio e del rendimento sarà ancora cruciale per ottenere una diversificazione efficace.
Quinto, la modernizzazione dei regimi normativi sta evidenziando gli squilibri tra attività e passività delle compagnie di assicurazione e dei fondi pensione in molte giurisdizioni. Questo sta costringendo gli investitori ad adottare un approccio più sofisticato alla gestione del rischio. Come si reagirà sul fronte normativo quando si manifesterà la prossima crisi? La storia ci insegna che le regole possono cambiare quando gli istituti finanziari di importanza sistemica sono in grave difficoltà.
Sesto, i singoli cittadini dovranno assumersi sempre maggiori responsabilità in merito al loro futuro finanziario. Né lo stato né i datori di lavoro potranno garantire pensioni generose. Il settore del risparmio gestito potrà contribuire fornendo i giusti strumenti, soluzioni e consulenza. Tali soluzioni dovranno anche rendere accessibili a tutti questa gamma di investimenti più vasta.
i William Goetzmann (2016). Denaro. Come la finanza ha reso possibile la civiltà.
ii Craig Turnbull (2018). 200 anni di asset allocation: le lezioni dei pionieri degli investimenti.
iii Mark Carney, Governatore della Bank of England (2018). True Finance: dieci anni dopo la crisi finanziaria.
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