Commento a cura di Darrell Spence, economista di Capital Group.
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Nonostante un basso prezzo del petrolio sia normalmente considerato un elemento a vantaggio dell’economia, lo scivolone sempre più intenso che si è palesato quest’anno è stato considerato come la causa della recente debolezza del mercato azionario a livello globale. Il ruolo che il petrolio sta giocando è particolarmente influente per molteplici ragioni, a partire dal timore che un indebolimento dei prezzi possa aprire le porte ad un prossimo rallentamento della crescita globale. Non è tuttavia questo il caso, dato che i fondamentali di sostegno all’economia a stelle e strisce ci appaiono intatti.
Alla base dell’indebolimento del prezzo del petrolio vi è un disequilibrio tra domanda e offerta. In effetti, nonostante sia opinione diffusa che la domanda di petrolio abbia subito un calo, nella realtà, essa è cresciuta. Di certo la domanda è diminuita in determinate aree geografiche, come nel caso degli Emergenti, ma, a livello complessivo, il dato continua a crescere. Facciamo un esempio: i prezzi più bassi del carburante hanno generato un significativo incremento della domanda tra gli automobilisti americani. Allo stesso tempo, però, Cina e India stanno incrementando le proprie riserve petrolifere.
Un ulteriore elemento da prendere in considerazione è il timore di un contagio sul mercato dei capitali, soprattutto sul segmento del credito. La crisi del 2008 ha mostrato che una debolezza in una determinata area geografica può trasferirsi all’interno del sistema globale. Di recente, i timori legati ai possibili default delle small cap del settore energetico hanno appesantito il mercato high yield. Questo ha reso più difficile e costoso il meccanismo di finanziamento per società attive anche in differenti settori e le banche hanno incrementato le riserve di prestito in vista di maggiori perdite legate al settore energetico.
Tuttavia, gli ultimi sviluppi devono essere considerati alla luce del contesto attuale. La possibilità di un contagio è molto limitata, anche perché il sistema finanziario è molto più solido di quanto non fosse nel 2008. Negli Stati Uniti il livello di debito non governativo è più basso e le riserve di capitale delle banche sono molto più robuste. Il mercato immobiliare e del lavoro sono solidi e alcuni segnali indicano perfino una stabilizzazione economica in Cina.
In linea generale, un livello più basso dei prezzi dell’energia ha storicamente rappresentato un elemento positivo per l’economia, visto che i costi inferiori della benzina sostengono la spesa dei consumatori. È anche importante comprendere che l’impatto dell’andamento del mercato energetico è molto più evidente sul mercato azionario piuttosto che nell’economia reale. Il contributo dell’industria energetica al PIL USA è piuttosto modesto (appena l’1,4%, in calo rispetto al 2,5% circa prima del picco raggiunto dalle quotazioni del greggio a inizio 2014). Al contrario, la quota di capitalizzazione di mercato delle società energetiche all’interno dell’S&P500 - cioè il 6,5% (in calo dal 10,5% del 2014) – è molto più evidente. Il maggior peso relativo è parzialmente dovuto al fatto che le società energetiche necessitano per loro natura di ingenti capitali e hanno perciò bisogno di attrarli sui mercati azionari. Per questo, il declino dei titoli energetici ha un impatto più significativo sul mercato azionario rispetto all’economia reale.
Nel breve termine, la volatilità dovrebbe restare elevata sia nel mercato energetico sia in quello azionario. Se da un lato il recente calo dei titoli azionari è stato preoccupante, è necessario ricordare che correzioni periodiche sono una componente normale del processo d’investimento. La migliore strategia è quella di mantenere un approccio d’investimento di lungo periodo che possa eludere le fluttuazioni temporanee.