La campagna “Say on Climate”, uno strumento per far sentire la propria voce

Ophélie Mortier, Responsible Investment Strategist, DPAM. Foto concessa

Contributo a cura di Ophélie Mortier, Responsible Investment strategist di DPAM. Contenuto sponsorizzato.

Nel 2016, le compagnie petrolifere ExxonMobil e Chevron hanno respinto le risoluzioni degli azionisti che chiedevano loro una maggior attenzione al problema del riscaldamento globale. Un anno dopo, tuttavia, hanno dovuto cedere a questa richiesta e a una maggior trasparenza sulla loro strategia di rischio climatico.

L'Unione Europea, con il regolamento SFDR, ma anche altri Paesi, stanno facendo progressi costanti in termini di rischi climatici definendoli rischi sistemici che (quasi) tutte le aziende devono affrontare. Una nuova svolta in questa lotta contro l'indifferenza al cambiamento climatico è il "Say on Climate", un piano d’azione sviluppato sulla falsariga del suo “predecessore”, il "Say on Remuneration", e sulla scia di una sempre maggiore attenzione nei confronti della responsabilità sociale in generale, e del clima in particolare. Si tratta di una proposta, all'ordine del giorno nelle assemblee generali, che può essere presentata dalla società stessa o dai suoi azionisti, al fine di permettere agli azionisti delle aziende quotate di votare annualmente sulla politica climatica, garantendo così un dialogo permanente sulle questioni ambientali.

Parliamo però di un voto consultivo nell’ambito dell’assemblea degli azionisti che non deve essere applicato legalmente, non ha potere vincolante e non interferisce con la gerarchia e i ruoli degli organi aziendali. Perché quindi riteniamo che sia uno strumento utile?

  • Risponde a un'aspettativa degli investitori.

Assistiamo infatti a una crescente pressione da parte degli investitori per accelerare la transizione energetica. Se la risoluzione presentata dagli azionisti non riceve il sostegno della società, quest'ultima può aspettarsi, alla successiva assemblea generale annuale, un voto sanzionatorio. Il tasso di insoddisfazione degli azionisti è infatti un dato sempre più utilizzato anche dagli investitori sostenibili come motivo per aprire il dialogo (fare engagement) con le aziende riguardo alle modalità con cui esse considerano l’opinione dei propri azionisti.

  • Nonostante l'uso crescente del voto elettronico da parte degli investitori istituzionali, l'assemblea generale rimane effettivamente un momento essenziale di confronto tra gli azionisti e la società.

Verso una sistematizzazione o, addirittura, un obbligo

Le risoluzioni attuali – dal voto sul rischio climatico nelle future assemblee generali, a richieste relative alla riduzione delle emissioni di gas serra, ecc. - abbondano e mostrano anche la diversità delle proposte da parte di imprese e azionisti. Il movimento attivista Follow this ad esempio, chiede obiettivi di riduzione delle emissioni a breve, medio e lungo termine e l'inclusione delle cosiddette emissioni "scope 3", cioè quelle indirette emesse dal prodotto stesso e non dal suo funzionamento e produzione.

Certo sarebbe utile avere un voto annuale sul rapporto sul clima e un voto triennale sulla politica climatica, ma la sistematicità del suo utilizzo suggerisce che il "Say on Climate" è sulla buona strada. Noi di DPAM, come altri investitori responsabili, accogliamo con favore queste iniziative poiché dimostrano la forza dell’impegno delle aziende nei confronti di tematiche legate alla sostenibilità e al cambiamento climatico quando il primo passo viene dalle aziende stesse. Inoltre, queste proposte sono allineate alla tendenza globale di una maggiore consapevolezza dei rischi climatici e mostrano quanto questi debbano essere integrati nei modelli e nelle strategie di business.

Siamo convinti che i governi e le aziende che stanno compiendo progressi significativi nella transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio – quelli che noi definiamo climate challengers - o le società che detengono una quota significativa del loro fatturato in prodotti o servizi ‘verdi’ (come riciclatori, turbine eoliche, ecc) e che chiamiamo climate enablers, giocheranno un ruolo cruciale. Per questo motivo il processo d’investimento del nostro fondo DPAM L Bonds Climate Trends Sustainable punta proprio su queste due macro-categorie per costruire, insieme ai green bonds, un portafoglio obbligazionario responsabile, robusto e diversificato che continua a registrare, dal lancio, performance interessanti.

L’impulso dato da iniziative come il Say on Climate sarà sempre più incisivo. Per questo motivo sosteniamo questo genere di proposte, in linea con il nostro impegno a seguire le raccomandazioni del TCFD e all'iniziativa collaborativa Climate Action 100+.

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