La crisi dell’oro nero

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Simone Calamai, amministratore delegato, Fundstore

Contributo a cura di Simone Calamai, amministratore delegato di Fundstore.

Nel bel mezzo della crisi economica dovuta all’emergenza globale, chi avesse una conoscenza della letteratura finanziaria, potrebbe pensare all’analogia tra cigno nero e Coronavirus. In verità, lo stesso N.Taleb in una intervista dei primi di Marzo sul quotidiano La Repubblica, ha affermato che Il Coronavirus non è un cigno nero, in quanto a suo parere è mancata una delle sue connotazioni essenziali: l’imprevedibilità.

Un evento improbabile, ma evidentemente non impossibile, che ha fatto sbandare l’andamento dei mercati e dell’economia globale. Nero il cigno, come il colore del greggio americano, che in una giornata storica (214), ha fatto registrare per la prima volta, un tracollo dei prezzi che Wall Street non aveva mai visto: -17,7 dollari al barile la quotazione di chiusura, con un picco di -37,63 dollari al barile ; un valore apparentemente insensato, ma non del tutto, visto che qualcuno aveva suggerito la possibilità che ciò accadesse, con il CME Group che si era preparato a questa evenienza ponendo in essere accorgimenti per evitare intoppi nello scambio di strumenti finanziari come i futures.

I contratti future sul petrolio prossimi alla scadenza in Aprile, i paper oil che sul mercato valgono miliardi, sono stati venduti in massa dai trader, complice la notizia dell'imminente saturazione dei depositi per lo stoccaggio del greggio, che avrebbe comportato altrimenti i detentori dei contratti ad entrare realmente in possesso di migliaia di barili di petrolio. Il prezzo è così sceso a picco. 

Uno dei responsabili del tracollo è, dati alla mano, lo US Oil Fund: un ETC che tratta un quarto di tutti gli scambi di petrolio, il più grande al mondo, che dall’inizio di Marzo ha triplicato il risparmio gestito, per un totale di 4,3 miliardi di dollari. Una somma enorme costituita per gran parte dall’afflusso di denaro di risparmiatori più o meno piccoli e poco informati, che rimasti colpiti dalle vicende del mercato del petrolio si sono improvvisati investitori tentando di cavalcare la moda del momento.Lo USO, nome del ticker con cui è quotato, ha dovuto spostare oltre il 20 percento del suo portafoglio, sui contratti future con scadenza successiva, contribuendo in buona parte al ribasso del prezzo.

Dall’inizio della crisi da Coronavirus, i prezzi del petrolio sono inizialmente calati intorno ai 50 dollari al barile. Lo scoppio dell’epidemia in Cina ha rallentato fortemente la produzione industriale e abbassato le stime sulla crescita del Paese del dragone, principale driver della domanda energetica globale. La Cina è infatti il secondo consumatore di petrolio globale e il lockdown ha fatto calare la domanda di circa 3 milioni di barili giornalieri.

Un modo per far risalire i prezzi in una tale situazione è ovviamente ridurre la domanda per trovare un equilibrio su prezzi più altri. Per motivi di natura politico-economica, i Paesi dell’OPEC + non hanno immediatamente dichiarato tagli di produzione significativi così come gli USA, generando un eccesso di offerta (già presente), a cui è susseguito un drammatico shock della domanda, a causa del lockdown esteso in moltissimi paesi nel mondo. Questi due fattori hanno creato un primo crollo dei prezzi del petrolio che aveva perso oltre il 50%, portandosi sotto la soglia dei 25 dollari al barile.

Si è infine giunti al tracollo del prezzo registrato il 21 aprile: eccesso di offerta, shock della domanda, saturazione degli spazi per lo stoccaggio del Wti e conseguente vendita in massa dei future. Arrivati al collasso, come riportato pochi giorni fa da Bloomberg, il governo statunitense starebbe infatti pensando all’opzione estrema di pagare i produttori; una sorta di sussidio alla non produzione, affinché smettano di trivellare ed evitino così di aumentare gli stock di greggio ed aggravare ulteriormente la situazione attuale. Nel frattempo il greggio prodotto in eccesso confluirà nelle scorte strategiche degli USA.

Nonostante tutto, restano fredde le prospettive di rialzo a lungo termine sul comparto petrolifero, con i contratti WTI per il 2023 scambiati a 40 dollari al barile. Bisognerà attendere ulteriori sviluppi per poter affinare le previsioni, auspicando di vedere segnali di ripresa. 

Nelle peggiori crisi ci sono sempre opportunità: i mercati hanno sempre risposto in modo positivo a periodo bui nella storia. Certamente più di qualcuno starà accusando il colpo, poichè del resto era impossibile prevedere scenari simili, ma chi saprà tenere il sangue freddo, otterrà nel medio-lungo periodo dei risultati in termini di rendimento, che ripagheranno le sofferenze attuali. In questa situazione di incertezza la volatilità è regina dei mercati. Scenari di ripresa ad oggi sembrano lontani: le stime sulla crescita del PIL globale per il 2020 sono deprimenti. Mentre la riapertura di molte Nazioni si avvicina, auspicando segnali di ripresa e il ritorno quanto più veloce alla normalità possiamo affermare che il Coronavirus non ha risparmiato niente: oggi più che mai è necessaria un’azione congiunta di solidarietà globale per uscire dalla crisi e scacciare l’incubo della pandemia.