The italian style... anche in finanza

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Ho sentito spesso critiche verso il mondo finanziario, frasi come: “segue mode opposte da Newton a Shopenhauer,  prima esalta la rigida selezione naturale della specie societaria poco dopo rivende tutto senza chiedere scusa con i suggerimenti delle sacre candele”. Lavoriamo in un settore che ha le sue dinamiche, sono d'accordo, ma forse potremmo trarne in molti un vantaggio.

Il mercato è umorale, analizza le stesse cose traendo conclusioni differenti a seconda delle visioni. Tutto questo è finanza ma anche lo stile di vita dell'italiano. Il gestore del nostro Paese ben si adatta al mondo del trading perché il mercato è proprio il suo stile di vita. Nel bene e nel male nessuno ha l'istinto del trader come l'italiano. Sappiamo che il mercato finanziario è alla costante ricerca del valore. Se non lo trova vende, se lo trova compra.

Ho fatto uno stage per Spanair, società spagnola specializzata nel trasporto aereo civile, nel lontano 2000. Obiettivo: espandere il call center visto lo spropositato numero di chiamate ricevute. Spanair bollava questo aumento di chiamate ricevute come un problema in quanto avrebbe fatto lievitare i costi operativi. A mio parere gli sfuggì una cosa che invece da italiano mi sembrava lampante: l'utente chiamava perchè si fidava dell'azienda. Un’azienda con uno spirito imprenditoriale più acuto avrebbe pensato di fare a meno delle agenzie di viaggio e vendere al cliente finale non solo il volo ma tutto il pacchetto turismo: viaggi, noleggio auto, hotel in Spagna come poi in tutta Europa. All'epoca nessuno ci aveva ancora provato. Pochi anni dopo fallirono le agenzie di viaggio e dunque anche le compagnie aeree che avevano delegato il loro maggior punto di forza, la vendita, ad un anello debole e costoso. Sarebbero bastate poche assunzioni in più presso il call center e un po' di coraggio aziendale per rendere Spanair un colosso stile Ryanair o Easyjet. Il coraggio lo han trovato, io ero solo un povero stagista sine curriculum e sine latinorum, così il consiglio di amministrazione seguì il modello tradizionale. Mi dicevano che il core business fosse “negli slot o nell'ampiamento della flotta” o in tutto ciò che era praticamente irrealizzabile a fronte dei costi. Così si è ignorato un miglioramento a costo zero e Spanair seguì la sorte delle sue care agenzie di viaggio, cui aveva delegato rischi e profitti come se la rendita di posizione potesse durare in eterno: in un Paese che vedeva aumentare i turisti di anno in anno, la compagnia aerea con più voli per Palma de Mallorca non ce l’ha fatta.

Oggi non vedo una situazione così distante nel settore finanziario italiano. La maggior parte delle società finanziarie e i grossi gruppi industriali, nonostante le generose parcelle date alle società di consulenza strategica, non gestiscono direttamente i soldi dei propri dipendenti. Anche nel mondo finanziario riscontro inefficienze palesi, sembra incredibile vedere come la finanza non riesca o non voglia far finanza e deleghi la gestione all'esterno. Ci sorbiamo filippiche sulla previdenza complementare che non decolla, ma nessuno che si accorga del più evidente e semplice modo di migliorare la performance dei fondi pensione: le alte commissioni che grandi società private, nell’agricoltura o nell’energia per esempio, pagano per questa delega nella gestione non possono che impattare pesantemente la performance. Basterebbero pochi terminali Bloomberg e Reuter, qualche assunzione di gestori ma soprattutto un po' di coraggio per gestire i fondi in casa e abbattere le commissioni. I gestori comprerebbero attivamente ETF e ridurrebbero drasticamente i costi.

A performance migliori seguirebbero a ruota più sottoscrizioni e magari nuove società specializzate nella previdenza, in concorrenza fra di loro nella vendita dei fondi alle PMI. Si andrebbe a creare un mercato e un'offerta competitiva di fondi pensione, nel paese del trading. Dalla politica ci si aspetta un’ulteriore liberalizzazione del settore, ma è il privato che in questo momento non sembra aver il coraggio di performare. Puntare il dito contro il settore pubblico è facile ma non convince più. È nel privato che occorre cambiare mentalità, e in fretta.

Chi si ferma si perde, e paga di più. Nel Paese con i più alti volumi di scambio nella Borsa locale, non vorrei vedere l’industria finanziaria imbrigliata e messa in ginocchio.