Commento a cura di Chris Iggo, chief investment officer, Fixed Income di AXA IM.
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I mercati obbligazionari hanno riportato buone performance quest’anno, grazie al calo dei rendimenti dei governativi. La ripresa degli strumenti rischiosi da metà febbraio è rallentata un po’, sebbene siano diminuiti i timori di una recessione imminente. Effettivamente lo scenario macroeconomico non è cambiato molto. C’è ancora valore nelle obbligazioni indicizzate all’inflazione e nel segmento high yield. Oggi, gli spread del credito sono tornati ai livelli di fine 2015, mentre i rendimenti dei titoli di stato scambiano intorno ai minimi annuali. Questo significa che i rendimenti obbligazionari sono scesi rispetto ai livelli che offrivano interessanti opportunità di acquisto nei primi due mesi dell’anno. Tra i titoli di più alta qualità, l’effetto della politica monetaria ha influenzato i rendimenti previsti: il rendimento dell’indice investment grade europeo che seguiamo in questo momento è intorno all’1% soltanto, l’equivalente negli Stati Uniti sta scendendo verso il 3% e lo stesso vale per l’investment grade in sterlina, nonostante il teorico “Brexit premium”. Finora nel 2016 le obbligazioni hanno sovraperformato le azioni di molto, e la maggior parte del loro rendimento da inizio anno dipende principalmente dal calo dei tassi sottostanti. Andare long di duration ha funzionato, così come andare long sugli spread del credito dall’11 febbraio. Nel complesso, i rendimenti da inizio anno non sono poi così male: 3,9% per i Treasury, 6,9% per i titoli britannici indicizzati, 3,4% per l’high yield negli Stati Uniti e 5% per i titoli di stato dei mercati emergenti.
Le banche centrali hanno ancora un ruolo fondamentale
Questi rendimenti non saranno facilmente sostenibili. Perché la duration continui a contribuire al risultato complessivo dei mercati obbligazionari, il livello dei rendimenti dei governativi dovrà scendere ancora oppure le curve dei rendimenti dovranno appiattirsi molto. È uno scenario risk-off che probabilmente sarà associato a un allargamento degli spread del credito. Se le aspettative inflazionistiche e sulla crescita diminuiranno ancora, abbastanza da far scendere i rendimenti, probabilmente aumenteranno le probabilità di una recessione globale, non un fattore positivo per gli strumenti più rischiosi. Le alternative sono due: le aspettative inflazionistiche e la crescita salgono, facendo irripidire le curve dei rendimenti dei titoli di stato, con un effetto negativo sui rendimenti obbligazionari, oppure la politica monetaria delle banche centrali sarà ancora “la marea che fa alzare tutte le barche”. In Europa, in previsione dell’acquisto di obbligazioni societarie (da parte della BCE) sarà difficile assistere a un ampliamento significativo degli spread, ma con i rendimenti dei bund tedeschi decennali intorno ai 10 p.b. soltanto, le aspettative in termini di total return non sono particolarmente brillanti.
Tuttavia, non va sottostimata la forza della politica monetaria globale nel sostenere il contributo della duration alla performance obbligazionaria. Col senno di poi, i mercati non hanno preso bene la decisione della Federal Reserve di alzare i tassi a dicembre. Gli strumenti più esposti al rischio hanno riportato performance poco positive nelle prime settimane dell’anno finché l’approccio delle banche centrali non è tornato ad essere accomodante. La banca centrale americana ha fatto un passo indietro, la Banca Centrale Europea ha annunciato nuovi stimoli e l’attenzione torna a concentrarsi sulla Banca del Giappone perché intervenga per svalutare lo yen, che oggi è forte rispetto al dollaro e all’euro. Un nuovo aumento degli acquisti di obbligazioni potrebbe spingere i rendimenti globali ancora al ribasso. Se c’è una cosa che ho imparato negli ultimi anni è che i rendimenti possono scendere anche quando crediamo che non sia possibile.
Liquidità per tutti?
In questo momento i mercati si sentono vulnerabili. Non c’è fiducia nelle prospettive di crescita, e man mano che le banche centrali continuano a sostenere di poter adottare nuove politiche non convenzionali, queste appaiono sempre più probabili: “ci dicono di poter reagire a una situazione economica difficile, pertanto lo scenario economico deve essere negativo!” È un circolo vizioso. Alcuni economisti discutono dei pro e dei contro dell’helicopter money (sebbene gettare banconote da un elicottero non mi sembra un modo particolarmente efficiente di creare l’illusione del denaro). Chi legge abitualmente questo mio contributo si ricorderà che ho già discusso del finanziamento monetario di stimoli fiscali mirati: secondo me sarebbe più efficiente che acquistare obbligazioni creando distorsioni sui mercati dei tassi di interesse. Se la crescita è debole e l’inflazione troppo bassa, il settore pubblico dovrebbe emettere più obbligazioni anziché riacquistarle. In assenza di un cambiamento radicale in questo orientamento politico è difficile che i mercati riacquistino sufficiente fiducia nei fondamentali economici sottostanti senza dipendere dagli stimoli monetari. Eppure, aumenta la convinzione che ogni nuovo intervento della politica abbia un impatto ridotto sulla crescita e sulle aspettative inflazionistiche. Pertanto gli strumenti più esposti al rischio riportano performance negative e i rendimenti risk free restano bassi.
Ai mercati non bastano 200.000 nuovi posti di lavoro
Negli Stati Uniti la disoccupazione è bassa, i posti di lavoro aumentano così come il reddito privato, e sale l’inflazione core. Le tradizionali dinamiche di fine ciclo (rapido aumento del costo dei salari, stretta monetaria, redditività ridotta) non indicano un’imminente recessione. Anche esaminando le previsioni dei membri della Federal Reserve, lo scenario è disomogeneo. Alcuni credono che gli aumenti dei tassi previsti lo scorso anno siano ancora giustificati, altri sono più prudenti, come Janet Yellen, e vedono nell’economia internazionale una ragione per non alzare i tassi. Naturalmente, la produzione nel settore manifatturiero è sotto tono e non siamo certi dell’effettiva portata dello shock dei prezzi delle materie prime e dell’energia, soprattutto dopo un periodo di ingenti investimenti nella produzione di energia locale. Le vendite delle imprese sono scarse da oltre un anno, ma gli ultimi dati dell’Institute for Supply Management segnalano un forte rimbalzo dell’attività manifatturiera e del volume di nuovi ordini. Nel complesso, non c’è motivo di abbassare i tassi di interesse negli Stati Uniti e, per estensione, non vedo perché i rendimenti obbligazionari dovrebbero scendere sotto i minimi del 2012 (1,38% per i Treasury a 10 anni, rispetto all’attuale 1,72%).
Comunque, credo che il momentum del mercato e il sentiment potrebbero riportarci su questi livelli, mentre un aumento di 30 p.b. nel segmento a 10 anni della curva si traduce in una plusvalenza del 2,7%. I fattori globali, ovvero gli acquisti della BCE e i nuovi stimoli della Banca del Giappone, potrebbero spingerci in quella direzione. Il mio timore è che il sentiment possa deteriorarsi ancora come nel 1° trimestre. Gli spread del credito sono tornati sui livelli del 4° trimestre, e lo stesso vale per i breakeven, e anche per le azioni. Ma il sentiment è tutt’altro che rialzista e in genere, a rischio di ripetermi, la ripresa si è basata sulle aspettative delle banche centrali. Non è sano.
Cogliete rendimento dove potete
Continuo a preferire gli stessi segmenti del mercato obbligazionario. Il segmento high yield è interessante in termini di redditività, l’esposizione all’inflazione USA dovrebbe beneficiare del miglioramento delle aspettative inflazionistiche e i mercati emergenti apparentemente godranno della stabilizzazione dei prezzi delle materie prime e del dollaro. Il rialzo del dollaro e il peggioramento delle ragioni di scambio per i produttori di materie prime sono una combinazione tossica (fanno salire il valore del debito con l’estero rispetto al PIL e peggiorano la bilancia dei pagamenti). Apparentemente la Federal Reserve non vuole un dollaro più forte, e il lento ribilanciamento dei mercati delle materie prime indica che il peggio è passato. Ci sono numerose ragioni di preoccupazione sul fronte del credito e dei rating nei mercati emergenti, ma in questo momento un portafoglio ben diversificato può produrre un rendimento di oltre il 5%.