Analisi a firma di Matteo Ramenghi, chief investment officer UBS WM Italy.
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Analisi a firma di Matteo Ramenghi, chief investment officer UBS WM Italy.
Dopo il rally estivo dell'euro contro il dollaro, ci aspettiamo che nei prossimi mesi il cambio resti più stabile, in un range compreso tra 1.15 e 1.20, leggermente al di sotto del suo valore teorico basato sulla parità del potere di acquisto, che si colloca a 1.27. Ci sono però diverse aree d'incertezza che potranno influire sull'andamento del cambio nei prossimi mesi. In particolare, la politica monetaria, la politica fiscale e il posizionamento degli investitori. Partiamo da quest'ultimo. All’inizio dell'anno gran parte degli investitori aveva un sovrappeso sul dollaro, sia per timore di una rottura dell'euro prima delle elezioni francesi, sia perché l'economia americana marciava più rapidamente di quella europea.
Per quanto riguarda i fondi d’investimento, dal nostro osservatorio ci sembra che il sovrappeso sul dollaro sia stato ridotto notevolmente durante l'estate e non ci aspettiamo ulteriori spostamenti di entità tale da influire sul livello del cambio. La visibilità diminuisce quando si prendono in considerazione le riserve valutarie delle banche centrali extra-europee, per le quali occorrerà attendere ancora qualche mese per avere un quadro definito. Se si dovessero verificare altri ingenti riposizionamenti, l'euro potrebbe rafforzarsi ulteriormente, almeno su base temporanea.
Per quanto riguarda le politiche fiscali e monetarie, vi sono importanti differenze sulle due sponde dell'Atlantico. Per gli Stati Uniti sono quelle fiscali a prevalere, perché la Federal Reserve ha un ampio mandato che le consente di tenere in considerazione, mitigare o completare l'indirizzo fiscale del governo. Al contrario, non esiste un vero e proprio bilancio pubblico coordinato della zona euro e la BCE ha un perimetro d'azione limitato alla gestione dell'inflazione. Per questo nell'eurozona sono le politiche monetarie a influire maggiormente sul cambio rispetto a quelle fiscali, che variano da un Paese all'altro.
Il 26 ottobre Mario Draghi potrebbe definire quale sarà la strategia della BCE per un'uscita graduale dal quantitative easing, le immissioni di liquidità sul mercato che si concretizzano con l'acquisto di titoli di Stato e obbligazioni corporate. Ci aspettiamo una riduzione delle quantità a partire da gennaio (dagli attuali 60 miliardi di euro al mese a 30/40), con un'estensione della durata di circa nove mesi, guadagnando tempo affinché la situazione politica si sia chiarita.
Infatti, arriveremo a questo appuntamento con un euro rafforzato sui mercati internazionali, ma anche con una forte dose d’incertezza: la Brexit sta procedendo a rilento, i Paesi Bassi non hanno ancora formato una coalizione di governo, la coalizione di governo in via di formazione in Germania potrebbe portare qualche insidia per il governo della UE, l'Italia voterà tra qualche mese, l'Austria ha appena votato, e risolvere il nodo della Catalogna non sarà un'impresa facile.
Negli Stati Uniti, la Federal Reserve potrebbe procedere con un ulteriore rialzo dei tassi già a dicembre, ma a influire sul cambio sarà soprattutto la proposta di bilancio pubblico e di riforma fiscale che verrà formulata dall'amministrazione Trump. La riforma fiscale mira a tagliare le imposte sul reddito delle società per rilanciare l’economia e, se venisse approvata, potrebbe influire sulle decisioni della Federal Reserve, portando a rialzi più spediti. Di conseguenza, il dollaro potrebbe rafforzarsi.
Tenendo in considerazione tutti questi fattori, ci aspettiamo che il cambio euro-dollaro rimanga nel range 1.15-1.20, in sostanziale continuità con la situazione attuale. Le cose potrebbero cambiare tra qualche mese, quando il quadro politico europeo sarà definito e la BCE avrà svelato le proprie carte.