L’India sarà la prossima Cina?

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Contributo a cura di Fabrizio Salcedo, vice president Business Development di UTI International Limited. Contenuto sponsorizzato.

Popolazione grande e giovane, classe media che cresce, Pil pro-capite che aumenta a ritmo sostenuto, riforme del governo pro-mercati e pro-crescita, e compagnie internazionali che, attratte dai bassi costi della manodopera, iniziano a produrre nel paese: l’India sembra proprio un déjà-vu della Cina agli albori della sua formidabile crescita che l’ha portata a essere la seconda economia al mondo, per cui la domanda sorge spontanea.

La risposta dipende dalla chiave di lettura che si vuole dare. Se ci si immagina l’India come uno dei principali motori della crescita mondiale come la Cina lo è stata negli ultimi vent’anni, allora la risposta è sì. Numeri alla mano, il FMI sostiene che quest’anno l’India contribuirà a più del 15% della crescita del PIL globale, un numero destinato a crescere fino al 20% durante la prossima decade, secondo Morgan Stanley. Il come questo status venga raggiunto dal paese dell’Asia meridionale, però, denota come le due economie siano ben diverse, e che quindi, in realtà, l’India non sarà affatto la prossima Cina. E va benissimo così, per l’India.

Un cammino diverso

Guardando ai principali fautori del successo del paese del sol levante, ne troviamo alcuni per i quali il cammino della tigre è e sarà ben diverso da quello del dragone. Cominciamo dal più noto: la globalizzazione. La capacità di esportare e importare qualsiasi cosa su scala mondiale ha beneficiato la Cina dagli anni ’80 fino al primo ventennio del 2000, rendendola la potenza che conosciamo oggi. Il tutto iniziato, ormai paradossalmente, grazie ad accordi strategici con gli Stati Uniti nel periodo post guerra fredda.

L’India, dal suo canto, non ha mai partecipato a questo sistema. Rimasta un’economia chiusa fino agli inizi degli anni 90’, anche dopo la sua apertura l’economia indiana si è sempre affidata quasi esclusivamente al proprio consumo interno, oggi pari a circa 63% del PIL, e sembra non abbia intenzione di cambiare rotta. Nonostante l’aumento delle esportazioni negli ultimi anni, lo zoccolo duro della sua crescita proverrà ancora dal consumo domestico della sua giovane, crescente e produttrice classe media. Questa indipendenza (accentuata dal progetto "Make in India" lanciato dal governo Modi nel 2014) potrebbe giocare a suo favore in un contesto di trade wars e paesi che guardano sempre di più dentro i propri confini.

La seconda parola chiave è finanziarizzazione. Il problema da $23,000 miliardi di debito domestico in Cina riportato recentemente da Bloomberg è frutto degli ingenti investimenti guidati dallo stato così come gli sforzi fatti dai diversi governi locali per garantire un accesso quasi illimitato al credito per portare a termine progetti che accelerassero la crescita economica e la creazione di lavoro. Un approccio molto diverso da quello adottato in India, il cui governo si è dedicato principalmente a creare un sistema che favorisse gli investimenti privati domestici e internazionali con poco intervenzionismo, lasciando la crescita economica in mano alle dinamiche della sua popolazione e al mercato. L’accesso al capitale in India è ancora tra i più bassi al mondo, sintomo di come il denaro venga trattato veramente come un bene economico piuttosto che un bene politico. Probabilmente ciò non porterà allo stesso ritmo di crescita raggiunto dalla Cina ai tempi d’oro, ma si ipotizza sarà più efficiente, sostenibile e duraturo nel tempo (le stime parlano di un 6,5% CAGR fino al 2050).

Insomma, per certi aspetti è probabile che il testimone passi all’India, ma la tigre non si trasformerà in un dragone, bensì, continuerà a essere una tigre che ruggirà forte per diversi anni.