Un tema emerso nella SIU è legato alla difficoltà di destinare i risparmi depositati sui conti correnti verso impieghi più produttivi. Quale il ruolo del risparmio previdenziale e quali le proposte avanzate nei rapporti Noyer e Letta. Contributo a cura di Antonello Motroni, Mefop.
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CONTRIBUTO a cura di Antonello Motroni, Mefop
Lo scorso 19 marzo la Commissione europea ha presentato le linee programmatiche per la realizzazione del mercato unico degli investimenti e dei risparmi. Si tratta di un insieme di misure di carattere legislativo e non che hanno l’obiettivo di rilanciare la competitività del blocco nel nuovo contesto sociopolitico mondiale. La comunicazione si articola su quattro pilastri: 1) cittadini e risparmi, 2) investimenti in economia reale, 3) integrazione dei mercati dei capitali ed economie di scala, 4) vigilanza efficiente del mercato unico dei capitali.
I risparmi nei conti correnti
Uno dei temi più interessanti trattati dalla Commissione europea è quello della difficoltà di destinare i risparmi depositati sui conti correnti, stimati in circa diecimila miliardi di euro, verso impieghi più produttivi. Bruxelles sostiene che l’afflusso anche solo di una parte di tali risorse nei mercati finanziari consentirebbe ai cittadini di ottenere rendimenti potenzialmente più elevati, contribuendo al contempo alla crescita economica; una partecipazione sostanziale dei cittadini al mercato dei capitali è fondamentale per creare un mercato unico dei capitali adeguato all’economia dell’Unione. Per ovviare a tale carenza si punta a mettere in campo un approccio olistico, tra le proposte più interessanti vanno segnalate quelle sui i conti di risparmio e investimento. La Commissione Europea punta a adottare iniziative legislative o non legislative entro il terzo trimestre del 2025 per creare un modello (blueprint) europeo per i conti o i prodotti di risparmio e investimento, accompagnato da una raccomandazione agli Stati membri sul trattamento fiscale.
La centralità del risparmio pensionistico
Gli intendimenti di Bruxelles prendono spunto dal dibattito che ha preceduto l’insediamento della nuova legislatura, alimentato sia da alcuni rapporti commissionati dalle istituzioni comunitarie, sia da contributi degli stati membri. Il tratto comune di tali spunti è che il risparmio pensionistico, per natura paziente e di lungo periodo, rappresenta uno (il?) candidato ideale per il ruolo di provider dei fondi da destinare agli investimenti. Gli schemi di secondo pilastro, tuttavia, oltre ad avere una diffusione a macchia di leopardo, sono connessi alle normative nazionali della sicurezza sociale e del diritto del lavoro, ambiti rimessi alla competenza degli stati membri, con limitati poteri per le istituzioni europee. L’attenzione di Bruxelles andrebbe quindi rivolta soprattutto a stimolare la crescita del risparmio previdenziale/di lungo periodo in ottica retail.
L’idea iniziale
Nel Rapporto Draghi, ad esempio, si fa riferimento ai prodotti di risparmio a lungo termine come leva particolarmente efficace per veicolare maggiori risorse verso i mercati dei capitali; il riferimento è sia alle pensioni di secondo pilastro, sia ai conti di risparmio di lungo periodo per i quali viene citata espressamente l’esperienza svedese degli Investeringssparkonton che investono in modo significativo in small e mid-cap.
L’idea dei conti di risparmio individuali di lungo periodo è stata ampiamente trattata sia nel Rapporto Letta (commissionato dal Consiglio Europeo) sia nel rapporto preparato da Cristian Noyer per il governo francese.
Un prodotto europeo di lungo periodo
Il rapporto preparato dall’ex presidente del Consiglio dei ministri propone di creare un prodotto di risparmio europeo di lungo periodo (EU Long-Term Savings Product) agganciato a un meccanismo di adesione automatica. La previsione dell’automatic enrolment, strumento che laddove previsto è oggi regolato dalle leggi nazionali e agganciato alla previdenza di secondo pilastro, caratterizza chiaramente tale prodotto in termini pensionistici, tuttavia, va evidenziata la scelta di non denominarlo esplicitamente come tale. Le connessioni con la previdenza sono ancora più evidenti quando si suggerisce che il PEPP, semplificato e migliorato nei suoi aspetti critici (garanzie e obiettivi di rendimento, cap ai costi, portabilità), potrebbe rappresentare un’opzione fattibile per strutturare tale prodotto di risparmio europeo di lungo periodo. A tal fine il PEPP dovrebbe poter beneficiare di meccanismi di adesione automatica, ipotesi, quest’ultima, caldeggiata anche dall’Eiopa. L’autore suggerisce che il prodotto di risparmio europeo di lungo periodo potrebbe essere strutturato anche come uno strumento di secondo pilastro, di natura contrattuale, potendo in questo modo essere proposto in tutte le imprese dell’Unione europea, anche beneficiando dell’adesione automatica. Lo sviluppo dell’EU Long-Term Savings Product non potrebbe prescindere dalla dotazione di incentivi fiscali che dovrebbero essere riconosciuti dagli stati membri in un contesto di cooperazione rafforzata o di unanimità dei ventisette.
Una nuova classe di prodotti
Il rapporto dell’ex governatore della Banca di Francia, propone la creazione di una nuova classe di prodotti di risparmio europei che, per poter fregiarsi di tale etichetta, dovrebbero rispettare una serie di requisiti. Come nel rapporto Letta, la denominazione di tali prodotti rifugge dalla parola pensioni e tuttavia la loro natura previdenziale è esplicitamente richiamata più volte. Dovrebbe trattarsi innanzitutto di strumenti di accumulo di lungo periodo, quindi, di default, l’uscita dovrebbe coincidere con il pensionamento e la richiesta di prestazioni durante la fase di accumulo dovrebbe essere scoraggiata, a eccezione di alcuni eventi particolarmente significativi. La rendita dovrebbe essere la modalità principale di godimento delle prestazioni. Altra condizione prevista è che eventuali garanzie dovrebbero essere riconosciute soltanto al momento dell’uscita dal piano (pensionamento). La terza condizione riguarda l’assunzione del rischio da parte degli iscritti durante la fase di accumulo: i prodotti potrebbero prevedere meccanismi di life cycle per un progressivo de-risking delle posizioni individuali, piuttosto che la facoltà per i sottoscrittori di gestire in autonomia tale profilo. Si propone poi la possibilità di utilizzare tali prodotti come strumento di secondo pilastro, con il supporto dell’adesione automatica. Da ultimo, tali prodotti dovrebbero beneficiare di agevolazioni fiscali e prevedere un vincolo di portafoglio dell’80% minimo in attivi di emittenti dell’Unione Europea.
Similitudini e divergenze
Entrambi i rapporti fanno riferimento a prodotti di risparmio europei ma divergono sul come procedere, con Letta che parrebbe favorevole all’istituzione di un prodotto europeo (o all’utilizzo del PEPP) mentre Noyer preferirebbe riconoscere agli stati membri la possibilità di etichettare come “prodotti di risparmio europei di lungo periodo” strumenti già sul mercato che rispettano i requisiti per poter fregiarsi dell’etichetta. Prima facie, quest’ultima soluzione parrebbe più praticabile, anche alla luce delle esperienze maturate con i PEPP o gli ELTIF. Altra significativa differenziazione tra i due rapporti è rappresentata dalla modalità di collocamento del prodotto. Anche se nel rapporto Letta non si esclude la possibilità di utilizzare un prodotto europeo anche in chiave contrattuale, l’interesse appare tuttavia maggiormente rivolto al terzo pilastro. Di contro, Noyer dichiara che tali prodotti andrebbero veicolati su base collettiva, per poter ridurre al minimo i costi di distribuzione. Tale diversa ottica avrebbe un impatto anche in chiave di sviluppo del mercato unico dei capitali: tale prospettiva è molto accentuata nel rapporto Letta ma risulta meno percepibile nel rapporto Noyer. L’ex Governatore della banca centrale transalpina invita infatti a non sovrastimare il tema della portabilità tra gli Stati membri, dato che il risparmio è e rimarrà prima di tutto una questione interna di ciascun paese membro. Secondo Noyer, inoltre, la prospettiva nazionale consentirebbe di agire con maggiore efficacia sulla leva fiscale.
Il finanziamento dell’economia reale
Altra differenza significativa tra i due rapporti è quella relativa al finanziamento dell’economia reale, con il rapporto Noyer che su questo punto assume una posizione molto forte auspicando l’introduzione di un sostanziale vincolo di portafoglio. Si tratta di una proposta forte che andrebbe valutata alla luce del dovere fiduciario in capo a uno schema pensionistico che postula il principio dell’investimento nel migliore interesse degli aderenti e dei beneficiari. Quali effetti potrebbe avere un vincolo di portafoglio così significativo in termini di profilo di rischio/rendimento degli investimenti? I mutamenti in atto nel contesto geopolitico mondiale aggiungono ulteriore complessità in tale riflessione.
Dalla comparazione delle proposte di Letta e Noyer si evidenziano importanti differenziazioni che rimandano a impostazioni di fondo divergenti: Letta si muove essenzialmente in una ottica unionale, a differenza dell’economista francese che sembra prediligere una impostazione intergovernativa. Entrambe le proposte avrebbero come risultato finale la crescita del mercato dei capitali dei paesi europei, ma con prospettive e ruoli diversi per l’Unione europea e gli Stati membri. Alle istituzioni comunitarie e agli stati membri il compito di scegliere le soluzioni più efficaci per rispondere al crescente gap pensionistico dei cittadini europei.