Commento a cura di Matteo Ramenghi, chief investment officer UBS WM Italy.
Per accedere a questo contenuto
Commento a cura di Matteo Ramenghi, chief investment officer UBS WM Italy.
Molti investitori temono che le valutazioni del mercato azionario abbiano raggiunto livelli eccessivi. Un sondaggio condotto di recente da BofA ha indicato come il 46% degli investitori professionali consideri le azioni sopravalutate; si tratta di un livello record, addirittura più alto di quello osservato alla fine degli anni ’90, poco prima che scoppiasse la bolla internet. Nonostante l’abbondanza di statistiche che misurano performance e prezzi, la valutazione del mercato e dei titoli in esso trattati non è una scienza esatta. Due investitori che utilizzano le medesime informazioni per valutare un’azienda e il suo prezzo di mercato potrebbero raggiungere conclusioni diametralmente opposte – in effetti ciò succede ogni volta che un’azione viene scambiata. Utilizziamo svariati modelli matematici, ma anche questi nascondono scelte soggettive: infatti basta variare marginalmente alcuni input, come il tasso di sconto, per raggiungere valori macroscopicamente diversi tra loro.
Oggi potremmo dire che le azioni stiano viaggiando su multipli impegnativi rispetto alla loro storia recente. L’indice MSCI World (azionario mondiale) tratta a un multiplo degli utili di circa 17x, non lontano dai massimi degli ultimi 10 anni. Se allarghiamo l’osservazione a un periodo più ampio, siamo invece ben al di sotto della media di lungo termine (18x) e su livelli decisamente inferiori ai massimi registrati nel secolo scorso. Ma occorre aggiungere un’ulteriore dimensione: infatti non si può considerare un mercato in isolamento dagli altri. Prima di raggiungere una conclusione sul mercato azionario vediamo quali potrebbero essere le alternative. Anni di politiche monetarie espansive da parte delle Banche centrali hanno fatto sì che i rendimenti sul mercato obbligazionario siano estremamente compressi e che i rendimenti reali (al netto dell’inflazione) siano vicini, o talvolta inferiori, a zero. Al contrario, l’azionario offre in media un rendimento del 2,5% per mezzo dei dividendi.
In altri termini, quale premio ci riconosce il mercato per prenderci il rischio di detenere azioni? Calcoliamo la differenza tra la redditività di un’azienda (o di un indice) rispetto al suo prezzo e confrontiamolo con il rendimento dei titoli di Stato (una misura che prende il nome di equity risk premium). Ad oggi, il mercato azionario dell’eurozona offre un premio del 7,5% rispetto ai titoli di Stato, un livello che si confronta con il 6% medio degli ultimi 20 anni. Si tratta di una conferma di come, oggi, vi sia maggior valore nell’azionario rispetto all’obbligazionario.
Introduciamo anche alcune considerazioni sul ciclo economico. Siamo in un periodo di crescita sincronizzata nelle principali aree economiche e di un’inflazione in via di normalizzazione. Se è vero che stiamo vivendo un ciclo economico particolarmente lungo che non può durare in eterno, è altrettanto vero che prendere profitto troppo presto potrebbe rivelarsi molto oneroso. Nel dicembre del 1996, Alan Greenspan utilizzò il termine di "irrazionale esuberanza" durante un’intervista televisiva con riferimento alle quotazioni del mercato azionario. Probabilmente aveva ragione, ma prima che la bolla scoppiasse passarono altri quattro anni e l’indice americano (S&P 500) raddoppiò in valore prima di crollare.
L’obiettivo di queste considerazioni non è di confondere ancor più le idee riguardo le valutazioni del mercato, ma le valutazioni non sono sempre il principale motore del mercato e i prezzi possono rimanere elevati, e divenire ancora più elevati, per periodi molto lunghi. Affinché vi sia un’inversione di tendenza occorrono una brusca interruzione dei buoni dati economici o un cambiamento radicale nelle politiche monetarie. Ad oggi, una recessione, uno shock inflattivo, un errore di politica monetaria non sembrano essere nelle immediate vicinanze.