Il Decreto Rilancio del 19 maggio introduce nuovi piani di risparmio che possono investire anche sull’universo delle società non quotate.
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Il Decreto Rilancio dà il via ai Pir alternativi. L'iniziativa potrebbe orientare ulteriormente il risparmio degli italiani verso l’economia reale, soprattutto i 1600 miliardi (dei 4400 totali) di euro tenuti infruttuosamente sui conti correnti, grazie all’esenzione fiscale sul capital gain e alla crescente sensibilità verso strumenti che possano sostenere la piccola impresa italiana.
Secondo le stime, la raccolta complessiva sui Pir sarà di 1,2 miliardi nel 2021 e di oltre 3 miliardi l’anno successivo (Intermonte), senza considerare l'effetto della nuova versione alternativa dei panieri. Ma il meccanismo funzionerà solo se le SGR avranno a disposizione strumenti di analisi efficaci per valutare la solidità delle aziende da inserire in portafoglio: strumenti che il FinTech può fornire.
Costruire Pir alternativi: l’importanza di avere metriche certe
Quando parliamo di Pir alternativi, parliamo di panieri che devono investire almeno il 70% del fondo in società italiane che non appartengono al paniere Ftse Mib e al Ftse Mid. Le novità rispetto ai Pir tradizionali sono diverse: il gestore può acquistare sia quote di aziende sia debito; la defiscalizzazione sulle plusvalenze è ampliata fino a 150.000 euro all’anno per dieci anni rispetto ai 30.000 euro per cinque anni; il vincolo di concentrazione passa dal 10% al 20%. Ma soprattutto, il Pir alternativo si presenta come uno strumento complementare al Pir ordinario, anche dal punto di vista della cumulabilità per l’investitore, a sostegno delle PMI private e dunque dell’economia reale.
Se le società quotate italiane sono circa 400, includere nei portafogli anche titoli di società non quotate significa dover selezionare attentamente in un mare magnum di oltre 6 milioni di realtà che non hanno gli stessi obblighi stringenti delle quotate in tema di comunicazione finanziaria e su cui la ricerca finanziaria è pressoché assente. Questo limita molto lo spazio di azione delle Sgr che non sempre hanno a disposizione metriche oggettive di valutazione.
La parabola dei Pir tradizionali
Di queste difficoltà abbiamo avuto un assaggio nel 2019, quando i Pir tradizionali, che nei primi due anni di vita avevano raccolto più di 15 miliardi di euro, hanno subito una brusca frenata. La ragione? La legge di bilancio trasforma i Pir nella loro versione 2.0, obbligandoli a includere una quota del 3,5% di Venture Capital nel portafoglio complessivo. Molte Sgr hanno fermato la raccolta e chiuso i fondi perché non era più possibile costruire portafogli compliant. I Pir 2.0 sono stati poi aboliti e il mercato ha ripreso a camminare. Ma la storia ha messo in luce l’importanza della ricerca: se una Sgr non ha gli strumenti per valutare gli asset non può, per dirla brutalmente, costruire panieri. Proprio i Pir hanno spinto Borsa Italiana a modificare il Regolamento Emittenti su Aim Italia, introducendo l’obbligo di redazione e pubblicazione di una equity research, che rendesse trasparenti le informazioni sulle aziende a beneficio degli investitori (obbligo valido per tutte le società approdate sul mercato dal 2018).
Effetto Covid sui bilanci
Un ulteriore elemento di complessità è, ovviamente, l’effetto del Covid 19 sui bilanci. Secondo le ultime rilevazioni del Centro Studi di Confindustria, in maggio la produzione industriale italiana è diminuita del 33,8% rispetto a un anno prima, dopo il -44,3% rilevato in aprile. Nella media degli ultimi tre mesi, ovvero da quando sono state introdotte le misure di contenimento del Covid-19, il livello dell’indice destagionalizzato della produzione è inferiore del 34,2% rispetto a febbraio. Nei servizi, dove l’attività è più ridotta (PMI a 10,8) e la riapertura completa sarà a giugno i numeri sono ancora più impietosi.
Un’analisi condotta da modefinance su un campione rappresentativo di 187.000 Pmi italiane con un fatturato compreso tra i 2 e i 50 milioni di euro, con un’ipotesi di contrazione del fatturato in media del 10%, mostrava che il 65% delle imprese si collocava pre-Covid su un rating intermedio (il 22,45% del campione rientra nel rating B; il 23,86% nel BB e il 18% nella tripla B). Su di esse lo scenario pandemico triplica le possibilità di default. In particolare, la probabilità di default aumenta dallo 0,98% al 3,29%, collocandosi su un livello molto più elevato del 2,38% attuale di una Pmi con rating CCC. Di fatto, il Covid trasforma società con merito di credito equilibrato in junk. Ed è un tema rilevante per chi si occupa di costruire portafogli di investimento, che rischia di vedere gli asset di debito trasformarsi da solvibili a non performing.
L’analisi è stata effettuata attraverso For-ST, un modello previsionale in grado di simulare, grazie all’utilizzo di tecnologie di Intelligenza Artificiale, l’evoluzione del merito creditizio e la probabilità di default di un’impresa fino a 5 anni, arrivando a stimare le singole voci di bilancio. For-ST è uno dei moduli della piattaforma Raas (Rating-as-a-service), uno strumento che promette di rivoluzionare la valutazione del rischio di controparte e di gestione del portafoglio investimenti di banche e istituti finanziari.
“L’analisi societaria è spesso carente sulle aziende di dimensione micro e di più sulle non quotate, non solo per una questione di obblighi di comunicazione meno rigidi per le non quotate, che rende più difficile reperire informazioni aggiornate, ma proprio perché sui titoli di debito ed equity a bassa capitalizzazione la ricerca tradizionale risulta un esercizio eccessivamente costoso", spiega Valentino Pediroda, CEO e cofondatore di modeFinance. "Strumenti basati sull’intelligenza artificiale e sul machine learning possono rappresentare un valido sostituto per decidere quali società inserire in portafoglio sulla base di metriche di valutazione oggettive”.