Quanto sono sostenibili le polizze assicurative distribuite in Italia? La domanda non è casuale ed è stata al centro di un’indagine effettuata dalla stessa Ivass, l’Istituto di vigilanza sulle assicurazioni, che nel corso del 2023 ha analizzato le polizze IBIPs (ossia gli Insurance Based Investment Products, regolati dalla normativa europea IDD - Insurance Distribution Directive) al fine di “verificarne la struttura e le modalità di presentazione al pubblico”.
L’Istituto ha effettuato un’analisi quali-quantitativa su 18 compagnie di assicurazione (di cui due sole estere) per verificare, appunto, l’offerta di prodotti sostenibili sul mercato italiano. Le entità analizzate, alla data del 15 giugno 2023 presentavano “polizze IBIPs presentate come ESG o aventi come sottostanti opzioni di investimento con caratteristiche ESG”.
Una platea “estesa”
I risultati emersi indicano una prevalenza di prodotti multiramo, con l’asset allocation basata principalmente su fondi esteri (Ucits) e un’integrazione delle tematiche sostenibili nelle policy in materia di “governo e controllo” dei prodotti assicurativi (GOP) e nelle politiche di distribuzione. L’autorità di controllo ha anche approfondito “possibili ipotesi di greenwashing”.
Dall’indagine emerge un business sostenibile che Ivass definisce “piuttosto rilevante” con 106 polizze classificate “sostenibili” per 1,1 milioni di contratti e una raccolta premi di circa 48,8 miliardi di euro dall’inizio della commercializzazione.
I numeri
Come detto, i numeri vanno in direzione delle polizze multiramo, che rappresentano il 45% del campione, seguite dalle unit linked (29%), e dalle polizze rivalutabili (25%). L’Authority sottolinea che “non risultano polizze nuove, create ad hoc, ma piuttosto inserimenti di asset ESG tra gli investimenti sottostanti alle polizze già in commercio”. La stragrande maggioranza delle polizze (92%) si classifica come light green (in base a SFDR) mentre la quota restante è relativa a polizze ex articolo 6 SFDR.
A livello di asset allocation la predilezione va agli OICR esteri. In particolare emergono 3.141 fondi esterni, dei quali 2.041 classificati “light green” e 197 classificati “dark green”; 173 fondi interni, dei quali 72 classificati “light green”, uno classificato “dark green”, 93 art. 6 e 7 non classificati; 26 gestioni separate, delle quali 13 classificate “light green”, 7 come art. 6 SFDR e 6 non classificate. Nessuna risulta classificata “dark green”.
È interessante poi notare come le compagnie analizzare abbiano quasi sempre integrato le tematiche ESG all’interno delle policy POG, adeguando la normativa contrattuale quando richiesto dalla normativa. Sul fronte della distribuzione, poi, sono state somministrate attività formative in favore dei distributori (per cinque compagnie, l’adeguamento era ancora in corso).
Punti di interesse nella distribuzione
La distribuzione rappresenta un profilo di attenzione per l’Istituto di vigilanza che, nell’indagine, sottolinea alcuni casi in cui il processo di vendita è gestito internamente per via digitale senza attività di consulenza: “In tal caso, il rischio è che i clienti possano non pervenire ad una buona comprensione del concetto di ‘preferenze di sostenibilità’ e della loro scelta in merito al se e in quale misura un determinato prodotto debba essere integrato nei loro investimenti”, si legge nell’indagine. In alcuni casi, i questionari D&N (demand & needs) relativi alle preferenze di sostenibilità del cliente sono risultati “non sufficientemente granulari da consentire una corretta profilazione del cliente ai fini della valutazione di adeguatezza della polizza”.
Ivass ha anche analizzato la distribuzione affidata a intermediari bancari. In tal caso “le istruzioni sono fornite direttamente dal distributore bancario alla propria rete commerciale, seppure nell’ambito degli accordi distributivi in essere tra la Banca e la Compagnia”. Anche in questo caso non sempre i questionari consentono di rilevare le preferenze di sostenibilità dei clienti. Tuttavia Ivass fa notare che “solo in un caso è emerso un rischio di potenziale greenwashing per il tenore della domanda posta al cliente”. Emerge, per contro, una certa cautela, secondo gli analisti da parte delle compagnie nella classificazione dei prodotti come “light green” o “dark green”, ciò potrebbe portare, in ipotesi, anche al verificarsi di un “rischio greenbleaching”.