Private markets, allenarsi al lungo periodo paga

Sharon Mccutcheon, Unsplash
Sharon Mccutcheon, Unsplash

“Per molto tempo, l’investimento più simile ai private asset accessibile agli investitori privati è stato l’acquisto della propria abitazione. Nel corso dell’ultimo decennio, l’investimento nei private asset ha subito una rivoluzione. Ad alimentare questo cambiamento sono stati sia fattori di attrazione che di spinta”. Tim Boole, head of product management di Schroder Adveq Group, ci aiuta a inquadrare storicamente un mutamento recente nell’atteggiamento degli investitori verso i mercati degli asset privati, identificando nello sviluppo dell’offerta (fattore di attrazione) e nella ricerca di rendimento in un contesto in cui la costruzione di alpha realmente decorrelato è sempre più difficile (fattore di spinta) i due movimenti convergenti che hanno determinato l’emergere di un interesse senza precedenti per l’asset class. “Il ruolo dei mercati privati nei portafogli”, afferma Nalaka De Silva, head of private markets solutions di Aberdeen Standard Investments, “sta evolvendo da quelli che storicamente sono stati percepiti come investimenti di crescita idiosincratici”. “Il mercato è cresciuto e maturato negli ultimi anni per includere investimenti in varie fasi di crescita”, aggiunge, “dal capitale di rischio, alle azioni di crescita e ai tradizionali buyout”. “Una maturazione che ha affermato gli investimenti negli asset privati (azionario, obbligazionario, immobiliare, risorse naturali, infrastrutture)”, sottolinea Luca Gianelle, managing director Italy di Russell Investments, “come fonte di rendimento consistente e differenziata rispetto alle tradizionali asset class liquide”.

Illiquidità e lungo periodo

“È essenziale”, spiega Boole, “che gli investitori applichino gli stessi principi di diversificazione che adotterebbero in qualsiasi portafoglio bilanciato e soprattutto che concepiscano i private asset in una prospettiva di lungo termine”. “Gran parte della creazione di valore sui mercati privati avviene come risultato di miglioramenti operativi per l'azienda o per il progetto”, analizza nel dettaglio De Silva, “e tale trasformazione può richiedere tempo per essere attuata per poi registrare un aumento di valore o essere venduta”. “I mercati privati”, prosegue, “offrono ora agli investitori l'accesso ad asset di tipo income, growth e inflation-linked più strettamente legate all'economia reale, offrendo sostanziali vantaggi di diversificazione di un portafoglio e sono allo stesso tempo intrinsecamente illiquidi, motivo per cui gli investitori devono essere pronti a conservare gli attivi per un periodo molto più lungo rispetto ai tradizionali asset quotati”.

La quota di rischio risulta dunque tra i principali fattori da monitorare tanto dal punto di vista del gestore che dell’investitore. “Il livello di rischiosità assoluta”, sottolinea sul punto Gianelle, “può essere attenuato considerando soluzioni diversificate rispetto alle diverse asset class, per esposizione geografica e soprattutto delegando la scelta a gestori con diversi stili di investimento opportunamente selezionati”. “Gli investimenti saranno, infatti, detenuti in via esclusiva da uno o pochi investitori, a differenza del mercato pubblico dove invece la titolarità è estremamente frammentata”, argomenta Giannelle.

Dove guardare

Le criticità evidenziate dalle stesse case di gestione, impegnate in un’opera di formazione sul tema dei private markets, risultano oggi sempre più note agli investitori che mostrano passi in avanti nella creazione di una consapevolezza necessaria per esporsi ad un’asset class ad elevato tasso di complessità. “Data l’attuale fase avanzata del ciclo economico nei Paesi sviluppati”, afferma Giannelle relativamente alle logiche di allocazione riguardanti i private markets, “stiamo cercando aree di investimento di nicchia dove le valutazioni siano ancora ragionevoli, il successo dello stile d’investimento implementato dai manager non dipenda dall’uso della leva finanziaria e che possano prevedere molteplici strategie d’uscita per la monetizzazione di un investimento”. “Questo”, aggiunge, “ci porta a proporre portafogli diversificati tra gestori che siano specializzati in selezionare investimenti in aziende di medie o piccole dimensioni, principalmente negli Stati Uniti e in Europa”. “Nel private equity”, sostiene Boole toccando alcuni punti comuni, “l’investimento in buyout di piccole e medie dimensioni negli USA e in Europa ha caratteristiche che rendono il rendimento meno dipendente dal costo della leva finanziaria e meno correlato alle valutazioni dei mercati pubblici”. Al contrario, la performance risulta più legata ai miglioramenti apportati all’operatività del business, ad esempio attraverso la crescita delle vendite o l’ottimizzazione dei costi”. “Negli Stati Uniti”, fa il punto sulle aree geografiche extra-europee De Silva, “le opportunità di private equity si concentrano nella tecnologia e nella digitalizzazione tramite venture capital con venture manager di provata esperienza, insieme alla capitalizzazione di piccole imprese in crescita in settori specializzati o di nicchia.” “Nell’area Asia-Pacifico”, spiega inoltre, “vediamo una crescita in Cina, India e Giappone, mentre i mercati del credito indiano mostrano rendimenti convincenti per i prestiti garantiti”.