Quanto rischio sull’azionario in una fase di recessione economica?

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I segnali che indicano un prolungato ribasso o un rallentamento economico stanno preoccupando sempre più gli investitori. È qualcosa di comprensibile. I bruschi crolli sui mercati possono indurre gli investitori ad abbandonare l’equity per evitare ulteriori perdite. La paura degli investitori all'arrivo di una recessione è supportata dai dati. "Il PIL tedesco mostra una stagnazione dopo essersi contratto nel terzo trimestre di -0,2%, ma ha evitato la cosiddetta recessione tecnica, vale a dire, due trimestri consecutivi in ​​contrazione", ricordano da Groupama AM.

L’Italia è andata peggio, “dopo il secondo trimestre senza crescita, è entrata in recessione. Il problema non è nuovo e ha radici e implicazioni profonde, che difficilmente emergono focalizzandosi sulle ragioni della dinamica di breve termine del PIL. L’andamento del PIL italiano si muove ormai da oltre vent’anni intorno a tassi di crescita che non superano il 2% e può essere inserito nel contesto di un trend almeno trentennale che ha visto le capacità espansive dell’economia italiana ridursi in modo graduale e constante”, spiega il centro studi di Moneyfarm.

La recessione è la prima preoccupazione per molti asset manager. "Se il rallentamento si trasforma in una recessione, i mercati non sono preparati a questo shock, dal momento che né la fiducia degli investitori, né i prezzi delle asset riflettono adeguatamente questo rischio. Per questo motivo, il rischio di recessione si può ritenere come l'unico davvero importante", afferma Dave Lafferty, chief market strategist di Natixis Investment Managers.

La domanda che si pongono gli investitori è questa: quanto rischio sull’azionario se l’economia va in recessione? Secondo Jeroen Blokland, senior portfolio manager di Robeco Investment Solutions, “ i rallentamenti dell’economia sono spesso preceduti da fenomeni di mercato, come un’inversione della curva dei rendimenti obbligazionari o un picco dei mercati azionari statunitensi. In passato si è visto che i listini tendono a segnare nuovi massimi poco prima di una recessione, ma tendono a raggiungere il picco solo dopo che altri indicatori, ad esempio l’inversione della curva dei rendimenti, hanno segnalato un rallentamento. La curva dei rendimenti statunitense, che mostra la differenza tra i rendimenti obbligazionari a lungo e a breve termine, è uno dei migliori indicatori di recessione, se non addirittura il migliore. Essa ha previsto correttamente tutte le ultime sette recessioni registrate negli Stati Uniti dal dicembre 1969. Di regola, ogni volta che la curva dei rendimenti si inverte (vale a dire quando i tassi a breve superano i tassi a lungo termine) l’economia entra in recessione nell’arco di un anno o due”.

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Fonte: Robeco da Bloomberg.

Tuttavia, gli investitori che utilizzano questi indicatori per individuare il momento più opportuno per uscire dai mercati rinunciano a una parte del rendimento, in una fase in cui una recessione negli Stati Uniti è comunque attualmente poco probabile. Infatti, “una curva dei rendimenti invertita non ha mai impedito allo S&P 500 di registrare ulteriori rialzi. Nelle ultime sette recessioni i prezzi delle azioni hanno continuato a salire dopo ogni inversione della curva dei rendimenti, tranne nel 1973. In effetti, lo S&P 500 ha continuato a guadagnare terreno in media per altri undici mesi, prima di raggiungere un picco”, aggiunge l'esperto.

Inoltre, “se consideriamo le ultime sette recessioni statunitensi, l’indice S&P 500 ha toccato in media un picco solo sei mesi prima dell’inizio ufficiale della fase recessiva. In due momenti, nel 1980 e nel 1990, il picco del mercato azionario ha coinciso di fatto con l’inizio della recessione. In generale, i listini tendono a registrare solide performance fino a dodici mesi prima di una fase recessiva, quindi a evidenziare un andamento contrastato ma positivo nei sei mesi successivi, per poi virare in negativo nei sei mesi immediatamente precedenti la recessione”, conclude Blokland.

Quello che è successo l'anno scorso è una buona lezione. Nel 2018 quasi tutte le asset class hanno registrato rendimenti negativi. Vincere sui mercati era una missione praticamente impossibile. Data questa situazione, molti investitori hanno premuto il pulsante di panico e hanno annullato le loro posizioni. Se avessero avuto un po' di pazienza, avrebbero recuperato tra gennaio e febbraio buona parte delle perdite generate nell'ultimo anno. Ciò che non ha funzionato nel 2018 sta funzionando nel 2019. Fare market timing per evitare l'impatto di un rallentamento economico può far sì che gli investitori si perdano alcuni sostanziali aumenti, che potrebbero limitare la redditività complessiva.

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Fonte: Robeco da Bloomberg.