In attesa del voto della Consulta previsto per l'11 gennaio, Amundi SGR spiega perché, secondo la società di gestione, questo referendum è improbabile nel contesto attuale.
Nuovo referendum all’orizzonte? La Cgil ha raccolto un numero sufficiente di firme per indire un referendum per abrogare le riforme globali sul mercato del lavoro introdotte nel 2014 dal governo Renzi. E proprio prima di Capodanno, il Consiglio dei ministri ha deciso di chiedere alla Corte Costituzionale di dichiarare inammissibili due dei tre quesiti referendari presentati dal sindacato: quello sui voucher e quello relativo al licenziamenti illegittimi. L'11 gennaio la Consulta si riunirà per decidere sulla loro legittimità costituzionale, frattanto il premier Gentiloni ha confermato il giudizio positivo sul Jobs Act e ha preannunciato una modifica "in tempi rapidi" delle misure sui voucher.
Se la legge fosse modificata in Parlamento, il referendum potrebbe saltare. Il governo non intende intervenire invece sul terzo quesito, quello relativo a "disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti", che, secondo la Cgil mira ad abolire le disposizioni di legge "con le quali è stata attenuata (e vanificata) la responsabilità datoriale verso i lavoratori appunto in caso di appalto". Resta dunque aperta la partita sulla cancellazione delle norme del Jobs act che superano l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, sostituendo il diritto al reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa con un indennizzo. L'obiettivo del sindacato non è la reintroduzione tout court dell'articolo 18, ma l'ampliamento dei casi di reintegra.
Secondo Amundi SGR il processo ad ogni modo non è così semplice. E per quattro ragioni mportanti, prerequisiti per un referendum abrogativo (come in questo caso). “Innazitutto - dicono dal team gestionale - la Corte Costituzionale italiana dovrà pronunciarsi sulla validità della richiesta”. Poi “questo referendum potrà tenersi, a meno che non vengano annunciate le elezioni anticipate, che godrebbero a quel punto della priorità”. Inoltre, nel caso l’attuale governo volesse intervenire, così come già stato annunciato da Gentiloni, con alcune modifiche il referendum portebbe saltare. “In altre parole, al nuovo governo basterà emendare in parte l’attuale Jobs Act per evitare il ricorso al referendum”. Infine c’è il tema del quorum. “Se si mobilita meno del 50% dei votanti, il risultato sarà invalidato”, dicono da Amundi. E continuano: “Va ricordato che sette degli ultimi otto referendum abrogativi non sono riusciti a ottenere il quorum necessario del 50%. La forte partecipazione all’ultimo referendum (68,5%) lascia tuttavia pensare che l’esito del referendum sul Jobs Act potrebbe avere buone possibilità di essere convalidato”.
Nel complesso, nell’attuale contesto, secondo Amundi difficilmente “i quattro prerequisiti appena esposti saranno soddisfatti”, pertanto questo referendum non ci sarà. “Ci sembra invece plausibile che l’attuale governo introduca alcune modifiche”, concludono gli esperti.