Il petrolio è già dentro una spirale pericolosa di cui non si vede la fine. Finora quest'anno il prezzo del greggio ha accumulato un calo circa del 18%. E questa tendenza potrebbe continuare. I motivi sembrano chiari: un eccesso di offerta dei Paesi produttori e la debolezza della domanda di fronte alle correzioni economiche che stanno soffrendo economie come quella cinese, uno dei maggiori consumatori di greggio. Sia il prezzo del barile del Brent - in Europa- che quello del West Texas - negli Stati Uniti - quotano attualmente ai minimi degli ultimi 12 anni ed entrambisono sempre più vicini ai 30 dollari, un sostegno che potrebbe essere perso se si attuano le previsioni di alcune banche d'investimento che vedono il prezzo del barile sotto questo livello.
Questo vale, ad esempio, per Goldman Sachs. La banca statunitense pensa che la negoziazione del petrolio potrebbe perfino toccare quota 20 dollari al barile. "Il mercato ha bisogno di vedere una riduzione dei prezzi nel primo trimestre dell'anno affinché i produttori riducano i loro bilanci con l'obiettivo di arrivare a un barile a 40 dollari". Le loro conclusioni sono basate sugli incontri che Goldman Sachs ha avuto con i produttori, le aziende e gli investitori durante una conferenza la scorsa settimana in Florida (Stati Uniti). La conclusione è che i produttori non sono disposti a ridurre l'estrazione con i prezzi attuali. "Hanno invece messo l'accento sulla loro facilità a spendere e aumentare la produzione in caso di necessità, cosa che ha colpito la fiducia. Gli investitori sono andati via preoccupati, perché le aziende non sono sufficientemente reattive", dicono.
Nemmeno l'escalation di tensione tra l'Iran e l'Arabia Saudita è servita a stringere sui prezzi. Secondo Nicolas Robin, gestore di fondi sulle commodities in Columbia Threadneedle Investments, l'inasprimento del conflitto tra i due Paesi non si concluderà con i recenti cali del prezzo del petrolio. "Ora che le relazioni diplomatiche tra i due Paesi sono rotte, è improbabile che lavorino insieme su un qualsiasi potenziale taglio della produzione di petrolio da parte dell'OPEC. Inoltre queste tensioni alimentano i conflitti in Yemen, Siria, Iraq e Libia". Secondo l'esperto, questo panorama di prezzi bassi provoca una forte tensione sia alle aziende petrolifere sia ai Paesi produttori, che probabilmente continueranno a soffrire e dovranno affrontare tensioni sociali, con il calo dei benefici proveniente dall'estrazione e il conseguente taglio del sostegno economico locale.
"Quello che col tempo riporterà i prezzi del petrolio sopra i 60 dollari al barile sarà la combinazione di pressioni finanziarie - che obbligano una riduzione d'investimento di capitale nella società e, di conseguenza, una riduzione della produzione futura -, la minaccia di instabilità sociale nei Paesi produttori, così come un aumento della domanda di petrolio a causa dei bassi prezzi del petrolio", dice. La questione ora è capire quali mercati saranno più e meno colpiti da un barile di petrolio che è scambiato a prezzi stracciati. Come spiegano in Groupama AM, i Paesi esportatori di commodities rimangono particolarmente colpiti. "Essi sono direttamente esposti alla debolezza dell'industria cinese, dal momento che molto dipende dall'industria pesante (consumatori di materie prime) e molto poco dal buon comportamento del consumo cinese", dicono.
Charles de Quinsonas, co-gestore del M&G Emerging Markets Bond, pensa che l'Asia sia l'economia vincente in questa situazione, con alcune eccezioni. Questi Paesi sono molto aperti e il settore delle esportazioni continua a soffrire. È quindi la domanda interna a spiegare il miglioramento. La maggior parte di questi Paesi (Corea, Taiwan e Singapore in particolare) sono Paesi con eccesso di risparmio e hanno allentato la loro politica monetaria o fiscale (asseconda del Paese). Iniziano a generare una crescita auto-sostenuta, che beneficia soprattutto il settore immobiliare. Tutto ció è coerente con la crescita positiva sperimentata da questa area geografica nel terzo trimestre del 2015. Accanto a questa regione il gestore di M&G Investments comprende alcune economie in via di sviluppo come Turchia, Sud Africa e Brasile o Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca in Europa.
Per Groupama AM, la dicotomia tra vincitori e vinti dovrebbero continuare."Alcuni Paesi vedono la loro situazione migliorare, nonostante i rapporti con la Cina. Questa dicotomia distingue i Paesi che hanno i mezzi per utilizzare la politica monetaria indipendentemente da ciò che fanno gli altri, e quelli che invece restano in balia delle condizioni esterne (la politica monetaria delle principali banche centrali, i prezzi delle materie prime...). Visto da un'altra angolazione, è meglio essere in cima alla catena che sotto" spiegano. Nel complesso, le economie emergenti non hanno subìto cambiamenti significativi nella loro situazione economica a dicembre, nonostante una novità: il crescente scollamento tra il ciclo cinese e quello dei suoi vicini geografici. Il PMI composito emergenti recupera con moderazione, 49,3 a dicembre rispetto a 49,1 a novembre. È dall'area del Pacifico asiatico (eccetto la Cina) che arriva il miglioramento.