I prolungati negoziati sulla Brexit stanno mettendo in serie difficoltà la Gran Bretagna, che si è ritrovata nel giro di pochi giorni a dover far fronte alle molteplici dimissioni che hanno visto come attori alcuni membri del governo.
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Si dice che gli inglesi amino usare eufemismi, questa volta però sarà davvero difficile cercare di perifrasare al meglio la crisi di governo in atto. Gli ultimi giorni sono stati molto caldi a Londra, caratterizzati da una serie di dimissioni le quali hanno coinvolto i membri del governo inglese, mettendo in dubbio la stessa leadership di Theresa May. Le più chiacchierate sono state quelle di Boris Johnson (Ministro degli Esteri e demiurgo della Brexit) e di David Davis, vecchio conservatore capofila degli euroscettici, incaricato proprio di gestire i negoziati con l’Unione Europea, che hanno contribuito a stendere un velo di incertezza sul futuro politico del Paese.
Stranamente, queste vicende non hanno particolarmente sorpreso i mercati, infatti, dal primo giorno all’interno del governo non c’è mai stata chiarezza sul significato della Brexit e su che azioni mettere in atto. Richard Flax, chief investment officer di Moneyfarm, sostiene che ”la proposta elaborata dalla May, alla fine, non convinceva nessuno: da una parte, chi aveva votato per il remain si trovava comunque di fronte a una qualche sorta di Brexit, dall’altra, chi aveva votato per il leave avrebbe difficilmente sopportato la prospettiva di dover ancora sottostare alle direttive di Bruxelles. L’intero gabinetto in pratica concordava sul fatto che il Regno Unito, per una ragione o per l’altra, avrebbe finito per perdere influenza rimanendo paradossalmente legato alle regole UE: l’unica cosa su cui tutti si sono trovati d’accordo era che non trattavasi di un buon risultato”.
Cosa accadrà ora? Flax aggiunge che “probabilmente si scatenerà una sfida per la leadership all’interno del partito conservatore, un processo che potrebbe durare qualche mese. In generale, la maggioranza degli eletti Tories non sembra orientata verso posizioni di una hard Brexit e il governo dovrebbe reggere: un po’ perché i Tories sentono l'occupazione di number ten come il culmine naturale della propria azione politica (e sarebbe inusuale vederli lasciare), un po’ per paura di elezioni che probabilmente porterebbero alla vittoria di Jeremy Corbyn. Certamente il fatto che il governo si regga su una manciata di voti lascia aperto il campo a sorprese nel corso di una sfida per la leadership che durerà qualche settimana”, commenta l’esperto.
Sicuramente l’argomento più incisivo per la politica britannica rimarrà la Brexit. Léon Cornelissen, chief economist di Robeco, crede che “sia difficile prevedere quale sarà la soluzione che risulterà dai negoziati. Il problema principale è dato dal fatto che il referendum ha semplicemente chiesto l’uscita dall’UE, senza specificare come o a che condizioni. Il nocciolo della questione è capire se il Regno Unito debba optare per una soft Brexit, rimanendo all’interno del mercato unico, o per una hard Brexit, uscendo completamente dall’Unione. Entrambe le soluzioni non sono esenti da problema”.
Cornelissen spiega infatti che “una Brexit soft sarebbe migliore dal punto di vista economico per il Regno Unito. Tuttavia, questo comporterebbe anche che il Regno Unito continui ad accettare il libero transito delle persone e contribuisca al budget dell’Unione Europea. Non si risolverebbero però i due problemi politici che sono alla base della campagna per il leave, livelli di immigrazione percepiti come troppo alti e la convinzione che il Regno Unito sia controllato da Bruxelles”. L’economista aggiunge che una hard Brexit non sarebbe auspicabile dal punto di vista economico, “dato che il Regno Unito uscirebbe dal mercato libero più grande del mondo, perdendo l’accesso privilegiato a un bacino di oltre 500 milioni di persone. In questo caso si dovrebbe risolvere anche la questione relativa a che modello di scambio adottare”. Sulla base di ciò, per Robeco, la soluzione migliore sarebbe che il Regno Unito esca formalmente dall’UE il 29 marzo 2019, ma continui di fatto a fare parte dell’Unione per ancora diversi anni. Dunque una Brexit solo di nome, BRINO appunto.
I migliori fondi azionari che investono nel Regno Unito
Di seguito abbiamo riportato l’elenco dei migliori fondi azionari che investono nel Regno Unito in termini di performance YTD espressa in euro e distribuiti in Italia.
Fondo | Rendimento YTD | Rendimento 1 anno | Rendimento 3 anni | Volatilità 1 anno | Volatilità 3 anni | Società |
BlackRock Global Funds - United Kingdom Fund | 7,64 | 15,39 | 3,91 | 12,21 | 15,51 | BlackRock |
Liontrust GF Special Situations Fund | 7,58 | 14,87 | 6,31 | 10,72 | 12,96 | Liontrust |
Threadneedle UK Growth & Income Fund | 6,90 | 5,04 | 1,2 | 12,2 | 13,6 | Columbia Threadneedle |
Threadneedle UK Equity Alpha Income Fund | 6,88 | 4,27 | 0,65 | 11,79 | 13,8 | Columbia Threadneedle |
Threadneedle UK Equity Income Fund | 6,82 | 4,96 | 1,84 | 12,13 | 13,56 | Columbia Threadneedle |
Threadneedle UK Institutional Fund Retail | 4,48 | 6,37 | 0,9 | 11,27 | 13,65 | Columbia Threadneedle |
Majedie Asset Management UK Equity Fund | 4,45 | 6,66 | 0,17 | 11,3 | 13,51 | Majedie Asset Management |
Old Mutual UK Smaller Companies Focus Fund | 4,28 | 17,72 | 18,53 | 9,99 | 17,78 | Old Mutual GI |
GlobalAccess UK Opportunities Fund | 4,06 | 8,52 | 8,54 | 8,21 | 8,26 | Barclays |
Russell Investment Company plc - Russell Investments UK Equity Fund | 4,02 | 10,39 | 0,66 | 4,02 | 11,43 | Russell Investments |
Fonte: Elaborazione propria. Dati percentuali Morningstar Direct al 30/06/2018.