Negli anni il fondo ha visto un forte sviluppo delle adesioni non contrattuali. A rafforzare le masse, poi, ha contribuito anche “il buon andamento della gestione previdenziale”.
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Una “anomalia positiva” nel panorama della previdenza complementare italiana. Solidarietà Veneto, fondo negoziale multicategoria operante in Veneto, nasce alla fine degli anni 80 dai primi contratti aziendali nel settore del legno, in provincia di Treviso. Dal 1997, con i primi accordi fra le organizzazioni sindacali e i rappresentanti dei datori di lavoro del Veneto, il fondo estende la sua attività a tutti i settori dell’industria fino a confermarsi, a oggi, come il più diffuso in Regione. “Dal 1997 la fase della bilateralità si sviluppa su numeri limitati”, sottolinea il direttore Paolo Stefan, indicando come il primo “salto” numerico e patrimoniale sopraggiunga all’indomani del ‘silenzio assenso’: “All’epoca – afferma – dai 15 mila si passò a 44 mila iscritti”. Tuttavia, sono gli anni successivi a rafforzare il fondo, che oggi vanta una platea di circa 146 mila iscritti, di cui circa 65 mila “contrattuali” (sempre nel mondo dell’artigianato) e i restanti 81 mila non contrattuali. “Dal 2007 il numero degli iscritti ‘non contrattuali’ è aumentato dell’80% circa”, afferma Stefan. Ed è qui che si configura la “anomalia positiva” con una dinamica nella quale “Solidarietà Veneto si distingue rispetto all’andamento medio della previdenza complementare di natura negoziale osservato nello stesso periodo”.
A fine novembre il patrimonio ammonta a 2 miliardi e 45 milioni di euro (fonte Solidarietà Veneto): un incremento intorno ai 235 milioni rispetto a dicembre 2022. A rafforzare le masse, non solo la tendenza finanziaria positiva, ma anche “il buon andamento della gestione previdenziale”, afferma il direttore indicando come la contribuzione si confermi “nettamente superiore alle liquidazioni (circa 100 milioni nel 2023), per un saldo previdenziale che a fine anno ci attendiamo superiore ai 140 milioni”. La crescita delle contribuzioni, così come la riduzione dell’età media degli associati registrata dal fondo negli ultimi anni, “dipende soprattutto dalle tante nuove adesioni, specie quelle dei più giovani”.
I comparti
Una curva demografica ancora in ascesa si riflette anche nella gestione del fondo il cui patrimonio, dal 2007, si suddivide su quattro comparti (Dinamico, Reddito, Prudente e Garantito, di cui i primi tre art. 8 SFDR) e vede la quota maggiore di adesioni, rispettivamente il 35%, suddivisa sui due comparti con un peso più rilevante della componente azionaria (il Dinamico con un 60% di equity e il Reddito in cui è al 30%): nel complesso il 70% dell’intera platea. Il restante 30% si orienta sul Prudente (80% obbligazionario e 20% azionario) e sul Garantito (90%-10%).
Percorso previdenziale ideale
Tuttavia, a far pendere la bilancia verso i comparti più esposti all’azionario, è anche l’introduzione, dal 2020, del cosiddetto Percorso Previdenziale Ideale (PPI) “scelto da oltre 10 mila persone, soprattutto dai più giovani”. Il PPI alimenta in partenza il Dinamico ma, anziché operare uno switch una volta raggiunta una determinata età, “distribuisce il trasferimento delle risorse al comparto Reddito in un arco temporale decennale. In maniera analoga poi seguono i passaggi ai comparti Prudente e Garantito, mitigando quindi l’esposizione alla volatilità man mano che ci si avvicina all’età pensionabile”. Sul Garantito, aggiunge Stefan, “si è da poco conclusa la gara per la selezione del gestore e il mandato è stato affidato ad Anima e a Great Lakes Insurance (Gruppo Munich RE). Con questo passaggio, gli associati che prediligono la cautela, tipicamente pensionati e pensionandi, dal 1° dicembre potranno nuovamente contare sulla garanzia del 100% del capitale”.
Gli alternativi
Un ultimo sguardo va al tema degli alternativi. Seppure già nel 2009 Solidarietà Veneto abbia modificato lo statuto per poter operare investimenti diretti, la prima sperimentazione nel private debt risale al 2013, con un mandato obbligazionario corporate a focus geografico affidato a Finanziaria Internazionale. “Ora i bond vanno verso la scadenza, e in questa fase stiamo ripristinando le selezioni, ma con un allargamento all’ambito europeo”. Il private equity arriva nel 2015, con un focus sull’Italia e un commitment di circa 30 milioni su quattro fondi investiti: “Abbiamo esteso il raggio d’azione fino al 2020, quando il Covid ha rallentato i processi di investimento e ci siamo focalizzati più sulle infrastrutture”. Certo anche il 2022 ha sollevato perplessità sulle prospettive. “Ad ogni modo – conclude Stefan –, oggi il documento sulle politiche di investimento prevede che, a tendere, si raggiunga il 20% previsto dalla norma come limite per gli investimenti diretti (oggi siamo al 10%)”.
Tratto dalla rivista FundsPeople di gennaio n. 80