Strategie ESG, sensibilità in continua evoluzione

Una maggiore consapevolezza e sensibilità nei confronti del cambiamento climatico stanno orientando l’industria finanziaria verso la sostenibilità. “Le preferenze degli investitori sono decisamente cambiate nel corso del tempo e c'è una maggiore sensibilità nei confronti del mondo ESG, anche perché gli effetti del cambiamento climatico sono sotto gli occhi di tutti”, sostiene  Lorenzo Campori, fund selector di Banca Aletti. “Nella percezione della società e dell’investitore finale – continua - vi è quindi una maggiore sensibilità. I giovani, in particolare, sono i più interessati alla tematica, inoltre le preferenze dei clienti sono anche guidate dalla regulation. Con il nuovo questionario Mifid si registrano le preferenze di sostenibilità dei clienti e quale può essere quindi l’impatto sulla selezione. Quest’ultimo per come è formulato orienta le risposte in ottica sostenibile, ma rappresenta comunque un passo importante perché di fatto promuove presso l'investitore finale l'espressione di questa preferenza. Infatti, in generale la risposta è stata decisamente positiva e il nostro compito, adesso, è quello di realizzare e completare le preferenze manifestate dai clienti. La direzione dell’industria è ormai chiaramente orientata verso la sostenibilità”.

L'investitore retail “ha una percezione elevata della sostenibilità, sia per la formulazione del questionario Mifid, sia per quanto i media ne abbiano parlato negli ultimi anni”, è d’accordo Valeria Colombo, ESG and engagement lead, BancoPosta Fondi SGR. “L’andamento dei mercati e dei prodotti ESG - prosegue - ha tuttavia il suo peso. Per questo se da un lato c'è una parte di investitori molto convinti rispetto alla sostenibilità, altri soggetti hanno seguito la maggiore profittabilità di questi investimenti in determinati periodi di performance positiva. Secondo alcuni recenti dati nel 2023, in particolare nel secondo trimestre, per la prima volta il mercato ha registrato flussi negativi per i fondi ex articolo 8 SFDR, così come per i fondi ex articolo 6. Solo i prodotti ex articolo 9 hanno tenuto, sicuramente per il tema della ‘convinzione’ e anche perché, in linea generale, all'interno di un portafoglio diversificato i fondi ex articolo 9 hanno un peso relativo e sono meno soggetti a turnover. C’è anche un tema di education: non è scontato che un cliente finale sappia la differenza tra principal adverse impact, investimenti sostenibili, investimenti allineati alla tassonomia e così via. Spesso è difficile anche per gli stessi operatori di settore avere un quadro chiaro. Sulla sostenibilità, insomma, occorre quindi lavorare ancora molto a livello di (in)formazione e ricerca”.

“Cosa guiderà il successo della transizione, almeno per gli investitori? In ultima analisi sarà la performance”, esordisce Marc Pellaud, senior portfolio manager di Lombard Odier Investment Managers. Secondo l’esperto “non si può credere di raggiungere una transizione a lungo termine senza performance e siamo convinti che questa rappresenterà il principale motore della transizione in futuro. Certo non si tratterà solo di questo, la transizione rappresenterà uno stile di vita o una filosofia da apprendere. A questo proposito il vantaggio di investire in materie prime, considerandole come asset class, è rappresentato dalla diversificazione che possono apportare al tradizionale portafoglio azionario e a reddito fisso”. Pellaud ricorda che le materie prime “hanno storicamente una correlazione molto bassa con i diversi indici globali, così come con l'indice aggregato dei titoli di Stato. Si tratta quindi di un ottimo valore aggiunto in termini di diversificazione e una strada meno accidentata rispetto a cicli di crescita, mercati accidentati e così via. Inoltre vi saranno importanti vantaggi da cogliere nel gap di offerta che si prevede entro il 2030. La transizione energetica potrebbe comportare una domanda di risorse maggiore rispetto all’effettiva disponibilità delle stesse: si creerebbe un vuoto che potrebbe portare a un riprezzamento. Puntare oggi sulle materie prime, quindi, significa proteggersi da un possibile futuro gap delle forniture”.