Value vs Growth, una dicotomia non più applicabile?

Global Equities Group Neuberger Berman Notizia
Hendrik-Jan Boer, Jeroen Brand, Alex Zuiderwijk, Global Equities Group, Neuberger Berman

“Dopo lo shock della crisi sanitaria, si sta molto parlando delle dinamiche economiche di inizio ciclo: accelerazione del PIL, inflazione e tassi di interesse e ritorno della fiducia. Di conseguenza, molti investitori stanno cercando di capire se sia opportuno ridurre l’esposizione ai titoli growth, che da anni stanno registrando buone performance, per passare ai titoli value, che hanno generalmente esibito un andamento positivo nel nuovo ciclo. In qualità di investitori, noi non cerchiamo le società value o growth tradizionali, ma quelle che definiamo compounders di qualità e transition winners. In termini generali, ci chiediamo se abbia ancora un senso inquadrare lo scenario economico in termini di cicli tradizionali. E nell’immediato osserviamo che è facile scambiare i compounders di qualità per titoli growth tradizionali e che venderli adesso sarebbe un errore”.

Nuove definizioni

La questione posta dal team Global Equities di Neuberger Berman è certamente fra gli interrogativi che più accendono l’attuale dibattito fra gli investitori impegnati nella valutazione della rispondenza del posizionamento attuale del portafoglio rispetto alle prospettive economiche attese per l’anno appena iniziato, caratterizzato dalla più ampia campagna di vaccinazione a livello globale, fattore dirimente per l’andamento della crescita economica. Il punto essenziale sottolineato dalla casa di gestione fa riferimento alla necessità di individuare, e se necessario ridefinire, i concetti fondamentali attraverso cui il mercato azionario è interpretato.

“Definiamo la qualità come la capacità di mantenere un elevato rendimento del capitale investito, indipendentemente dal ciclo, grazie a vantaggi competitivi duraturi all’interno di una filiera produttiva con elevate barriere di ingresso. Spesso ci si riferisce a questa situazione come moat competitivo. Moat significa fossato ed indica appunto quel vantaggio competitivo che permette alle aziende di produrre ritorni sul capitale investito superiori ai concorrenti per lunghi periodi di tempo”, spiegano Hendrik-Jan Boer, senior portfolio manager and head of Global Equities Group, Jeroen Brand, senior portfolio manager, e Alex Zuiderwijk, senior portfolio manager di Neubeger Berman.

Società in grado di generare flussi di cassa che possono essere utilizzati per finanziare la crescita futura tramite innovazione, nuovi investimenti o acquisizioni anche durante le fasi ribassiste. “Tali caratteristiche”, affermano gli esperti, “le rendono estremamente adattabili e questo costituisce un punto di forza nei periodi di transizione o quando si verificano sviluppi dirompenti nella filiera produttiva, come la decarbonizzazione della produzione energetica, il capovolgimento delle priorità dei consumatori, la maggiore accessibilità all’assistenza sanitaria e ai servizi finanziari e la digitalizzazione dell’economia”.

Guidare la transizione

Centrale dunque saper distinguere tra transition winners  e normali società growth per non cadere nella trappola della rotazione. “La crescita degli utili si può ottenere benissimo anche solo lanciandosi in un nuovo ed entusiasmante mercato, assumendo un livello elevato di debito e ignorando gli aspetti della sostenibilità sociale e ambientale”, sottolineano dal team Gobal Equities dell’asset manager, facendo inoltre notare come in questo caso “la concorrenza potrebbe ben presto attaccare la quota di mercato conquistata, il debito trasformarsi da trampolino di lancio in zavorra e le esternalità negative alla lunga incidere sotto forma di perdita della clientela”.

“L’intero dibattito che contrappone le società growth a quelle value”, sottolineano dunque sul punto concettualmente più ampio dell’attuale discussione sul mercato azionario globale, “verte sul presupposto che esistano cicli economici causati da uno sfasamento tra offerta e domanda. Crediamo però che la diffusione della tecnologia in tutti i settori abbia praticamente appiattito questi cicli”.

“Secondo il nostro punto di vista ciò significa che oggi le immobilizzazioni immateriali, come la ricerca e lo sviluppo e il capitale umano, ma anche la reputazione del marchio e la cittadinanza d’impresa, svolgano un ruolo più importante nella creazione del valore”. Un mondo, dunque, caratterizzato non dai cicli industriali, ma da transizioni di lungo termine e fasi dirompenti periodiche. Date queste premesse l’identificazione del maggiore pericolo su cui mette in guardia Neuberger Berman. “Sussiste non solo il rischio di vendere società capaci di tenere il passo quando altre società growth sono in difficoltà, ma anche il rischio di lasciarsi sfuggire transition winners sostenibili in un ampio ventaglio di filiere, cioè proprio quelle aziende che hanno le maggiori probabilità di consolidare la propria posizione durante le fasi dirompenti che le aspettano”, concludono Boer, Brand e Zuiderwijk.