Vanguard, negli emergenti è necessario guardare ai fondamentali

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Ryo Tanaka (Unsplash)

Quando ci si approccia ai mercati emergenti è bene tenere a mente due fattori. Il primo è il numero consistente di Paesi che fanno parte dell’asset class che obbliga a farne un’analisi distinta. Il secondo è la spiccata sensibilità di questi mercati alla variazione del prezzo del denaro, in altre parole all’aumento dei tassi di interesse. Rispetto ad altri settori dunque, i mercati emergenti si sono ritrovati a reagire in maniera più negativa rispetto ai rivolgimenti macroeconomici degli ultimi mesi tra cui l’innalzamento dei livelli di inflazione, il conflitto nel cuore dell’Europa e il relativo innalzamento del prezzo dell’energia e delle materia prime.

È quanto hanno spiegato a FundsPeople Nick Eisinger, co-head Emerging Markets Active Fixed Income e Kunal Mehta, product specialist di Vanguard.

“A gennaio inoltrato quella dei mercati emergenti è stata l’asset class peggiore considerato il risk-adjusted. Dalla fine dello scorso anno a oggi, guardando l’high yield dei mercati emergenti è necessario comprendere che l’elemento dirimente è la duration” commenta Eisinger. Come sottolineato dal professionista, sino a ora si sono registrati degli outflow importanti, il 50% del totale riconducibili alla Cina.

Rischi all’orizzonte

Almeno per il momento, i livelli di inflazione non sono destinati a diminuire e se la Fed  rimarrà dietro la curva questo potrà costituire un rischio non solo per i mercati emergenti ma per l’intera economia globale.

Un altro rischio è che si realizzi, troppo presto, una qualche forma di recessione nel mercato statunitense. “In questo caso però sarebbe il credito, in generale, a non reagire bene” spiega Eisinger.

“Quando guardiamo ad alcuni mercati emergenti più stabili pensiamo a quelli investment grade, come la Polonia, Sud Arabia, Qatar, Abu Dhabi che sono una grande componente dell’indice. Sono molto sensibili a un eventuale ulteriore sell-off del Treasury”.

La strategia di Vanguard si concentra principalmente sulla selezione dei titoli nell’ambito delle aree del credito emergente. “Altre due aree di interesse in cui ci siamo concentrati per diversificare sono i tassi di interesse e il forex”. L’esperto sottolinea che pur essendo aree di interesse, negli scorsi mesi si sono rivelate un piuttosto rischiose tenendo conto del rialzo dei tassi di interesse e delle politiche più aggressive da parte della banche centrali (soprattutto la Fed) e l’inflazione che rimane eccezionalmente alta.

Le banche centrali dell’America Latina hanno reagito molto bene all’innalzamento dell’inflazione. “Immagino però che arriverà un momento, di certo non mi è dato sapere ancora quando (magari alla fine dell’estate o in inverno) in cui i rates di questi Paesi diventeranno interessanti, come quelli del mercato brasiliano o messicano”.

Bisogna saper gestire il rischio e capire quale sia il momento migliore per entrare in questo comparto. “I Paesi del centro Europa dovranno aspettare ancora un po’ ma di sicuro arriverà un momento in cui anche questi mercati diventeranno interessanti” prosegue. L’ultima componente d’interesse, come anticipato prima, è quella del forex. Questa, rispetto ai rates, ha una volatilità più alta ma rimane anche “estremamente attrattiva poiché il carry è in aumento grazie all’incremento dei tassi di interessa da parte delle banche centrali. Non si esclude dunque la possibilità di opportunità ma sarà necessario essere selettivi” mette in guardia l’esperto.

A diverse velocità

Come si diceva prima, la reazione degli emergenti è diversa. E lo stesso si è verificato anche in relazione all’aumento del prezzo del petrolio. “Quello a cui stiamo assistendo al momento è una maggiore concentrazioni sui titoli short duration (siano essi emergenti o meno) e questo rende tutto piuttosto “affollato”, io credo però che per gli emergenti sia più attrattivo guardare a un orizzonte temporale più lungo il che può essere un elemento positivo anche in un’ottica di probabile recessione, long duration potrebbe proprio aiutare in questo senso” spiega Mehta.

L’esperto prosegue sottolineando che gli investitori farebbero bene a guardarsi anche da un altro fattore, ovvero la correlazione di alcune posizioni allo stesso rischio. “Mi riferisco ad esempio al prezzo del petrolio, rimanere legati a posizioni che reagiscono alla stessa maniera a questa variazione, non sarebbe, per ovvie ragioni, una buona strategia” dice Mehta. A livello macro inoltre, ed è una storia che gli operatori di mercato hanno imparato nel tempo, “ci sono molti elementi di imprevedibilità, bisogna guardare al singolo Paese e anche al singolo governo, non è possibile generalizzare” ribadisce l’esperto.

Insomma, quando si tratta con gli emergente c’è bisogno di avere una forte convinzione sui fondamentali e “per questa ragione ci concentriamo sugli elementi più tecnici del mercato cercando allo stesso modo di evitare di concentrare le nostre posizioni, è inoltre fondamentale avvalersi di un team composto da diversi specialisti del credito ad esempio o delle materie prime” conclude Mehta.