Venture Capital, nei primi 9 mesi 2022 raddoppiano gli investimenti in startup italiane

Venture Capital News
Ines Pimentel (Unsplash)

Il mondo del Venture Capital italiano resiste all’urto della crisi e registra numeri in crescita nel 2022. Lo confermano i dati dell’aggiornamento trimestrale a settembre 2022 del Rapporto di ricerca Venture Capital Monitor – VeM, studio realizzato dall’Osservatorio VeM, nato dalla collaborazione tra AIFI e Liuc – Università Cattaneo con il contributo di Intesa Sanpaolo Innovation Center e E. Morace & Co. Studio legale, e con il supporto istituzionale di CDP Venture Capital SGR e IBAN.

Secondo il report i primi nove mesi dell’anno registrano 250 operazioni di cui 223 initial (erano 208 nel 2021) e 27 follow on, 20 in più rispetto allo stesso periodo 2021 (+9%). Per quanto riguarda l’ammontare investito da operatori domestici ed esteri in startup italiane, il valore si attesta a quasi 1,7 miliardi di euro distribuiti su 234 round, in aumento rispetto a poco più di 800 milioni per 207 operazioni dei primi tre trimestri del 2021 (+109%). Al contrario, si registra un rallentamento sull’ammontare investito in realtà estere fondate da imprenditori italiani che passa da quasi 900 milioni a circa 210 milioni, con un numero di operazioni in diminuzione rispetto all’anno precedente (16 round rispetto ai 23). Dalla somma delle due componenti, il totale complessivo si attesta a 1,9 miliardi di euro (erano 1,7 miliardi nel medesimo periodo del 2021). “I primi nove mesi dell’anno sono la dimostrazione che il venture capital è ormai in una nuova fase di sviluppo di cui ne trae beneficio diretto l’innovazione italiana. Gli investimenti in startup italiane, pari a 1,7 miliardi di euro, sono stati realizzati anche grazie al contributo di deal con ticket di oltre 300 milioni”. Afferma Anna Gervasoni, docente Liuc - Università Cattaneo. “Questo dimostra che anche in Italia si possono chiudere round di investimento di grandi dimensioni”.

L’indice VeM-i

Dal saldo tra operazioni e ammontare investito a settembre 2022 emerge un calo dell’indice VeM-i (indicatore proprietario della Liuc Business School) che per il terzo trimestre si attesta a 1.625 punti (contro i 1.975 del Q2), contrazione indicata come “fisiologica” da Giovanni Fusaro dell’Ufficio Studi e Ricerche AIFI, project manager VeM che sottolinea come arrivi “dopo due anni di forte crescita per il mercato”.

Fonte: AIFI.

Certo è che il mercato è in una fase di forte sviluppo, rimarca il ricercatore, indicando due elementi che certificano questa crescita: “round superiori ai 200 milioni e l’interesse crescente degli investitori internazionali”.

Un mercato “credibile”

Dai numeri all’analisi degli stessi, la crescita della piazza italiana è giustificata anche dalla sua “credibilità”. Ed è l’incentivo alla base del lavoro di CDP Venture Capital SGR che, negli ultimi due anni “ha investito nella qualità del sistema contribuendo a ‘infrastrutturare’ il mercato del venture capital in Italia”, afferma l’ad della società Enrico Resmini nella tavola rotonda che ha seguito la presentazione dei numeri del VeM. Dati alla mano Resmini parla di un finanziamento a 22 fondi, con il contributo al lancio di 18 programmi di accelerazione pluriennale, e al trasferimento tecnologico (cinque poli che agganciano 40 laboratori in Italia). “Oggi vediamo i primi frutti – afferma Resmini –, e dico i primi frutti perché ci confrontiamo con altre realtà, non solo statunitensi, ma anche europee, vediamo come la Germania ha appena deliberato 30 miliardi sul mondo del venture capital di cui 10 di natura governativa e 20 che arrivano dagli istituzionali”. Tuttavia, il passo avanti fatto dal nostro Paese è importante. Cdp Venture Capital SGR d’altronde è partita a gennaio 2020 con 130 milioni di AuM, oggi sono 1,8 miliardi e sono arrivati 3,5 miliardi aggiuntivi “di cui 1,5 continuerà a essere investito in quelle che sono le infrastrutture di base del venture capital. Un altro miliardo sarà dedicato alle iniziative late stage capital (dai 15 agli 80 milioni). Ed è in programma anche il lancio di un fondo di fondi di venture debt con l’obiettivo di attirare gestori che investano nelle scale up anche attraverso la leva del debt”.

Lo sviluppo italiano

Certo è che per mantenere la qualità delle startup italiane occorre tutelare la qualità degli imprenditori. Ne è convinto Luca Pagetti, direttore responsabile Finanziamento Crescita delle Startup Intesa Sanpaolo Innovation Center che sottolinea come per mantenere lo status di qualità dell’innovazione, il gruppo collabori con università e centri di ricerca (a Milano, Bologna, Napoli e Padova).  “Far crescere il mondo delle startup, d’altronde, è una condizione necessaria per far crescere il mercato domestico”, rimarca Paggetti. Affermazione condivisa dagli investitori istituzionali: “non occuparsi del Venture Capital significa essere meno coinvolti nel ciclo economico”, sottolinea Enrico Cibati, responsabile investimenti di Cassa Forense. “Da un lato cerchiamo di investire in particolare nei round late stage – continua Cibati – dall’altro intendiamo coordinarci con le strutture più grandi presenti in Italia, in particolare con CDP, per non essere solo investitoti passivi dei fondi, ma per elaborare iniziative di investimenti importanti su tutto il Paese”. D’altronde il ruolo dei fondi pensione come investitori di capitali pazienti è visto come fondamentale per lo sviluppo di questo mercato in Italia, anche se il “campo d’azione” è ancora “ristretto”, come riporta Piergiuseppe Mazzoldi, presidente Fondo Pensione Nazionale BCC elencando brevemente gli unici fondi di venture capital italiani ed europei in cui un fondo pensione italiano può investire. Eppure, sottolinea Mazzoldi “Quello che facciamo nasce proprio dalla natura stessa della nostra banca che ha sempre gestito il finanziamento di imprese piccole sul territorio”.

Il punto di vista dei fondi

A frenare lo sviluppo, quindi, un perimetro d’investimento ristretto e, come rimarca Lisa Di Sevo, managing partner & CEO di Prana Ventures, alcune “barriere” all’ingresso presenti sul nostro mercato. “Quello che oggi potrebbe aiutare lo sviluppo del nostro ecosistema, soprattutto per l’accesso di fondi esteri è far percepire l’Italia come qualcosa di più accessibile a livello burocratico”, afferma Di Sevo che ricorda come le crisi anticicliche come quella che viviamo oggi a livello macro, “storicamente hanno visto nascere le startup più disruptive da cui si sono sviluppate le tecnologie del futuro”. Secondo Luca Rancilio, CEO di Rancilio Cube SICAF è dunque un momento ideale per l’innovazione, si sono stretti i cordoni dei finanziamenti legati alla crisi pandemica “quando c’è stimolo intellettuale, quando c’è un’assenza nascono le idee, e questo è il momento migliore per entrare nel mercato con un approccio dilungo termine”.