Verdecanna (SSGA): “Meglio prepararsi alla fine del ciclo del credito”

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La fine del ciclo del credito è vicina? È questa una delle domande più ricorrenti che si sentono porre gli investitori sui mercati del credito, comprensibilmente visto che il ciclo attuale, iniziato a giugno 2009, è il secondo più lungo di sempre. A provare a dare una risposa è Danilo Verdecanna, country manager per l’Italia di State Street Global Advisors, secondo cui “questo momento non è ancora arrivato ma sarebbe meglio prepararsi per l’atterraggio”. Secondo l’esperto, infatti, sono diversi i segnali che ne preannunciano la fine. “Quello degli ultimi nove anni non è stato un ciclo ordinario, bensì una ripresa da una profonda crisi finanziaria, ragione che ne spiega sia la durata inusuale che lo scarso ritmo”, commenta il responsabile.

In una semplice infografica, la società riassume i fattori strutturali peculiari del periodo in esame sui mercati del credito e i fattori fondamentali che di solito indirizzano i cicli del credito, catalogando ogni fattore come di supporto (verde acqua), neutrale (indaco) o negativo (arancione) per l’attuale mercato del credito.

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Fattori strutturali

“Storicamente è sempre stata la disponibilità di credito a guidare il ciclo”, afferma Verdecanna. Quando il crollo finanziario dell’economia si pone al centro di una recessione, come è successo nel 2008, le conseguenze sul credito sono numerose. Per fare un esempio, i cambiamenti strutturali al sistema finanziario derivati dalla crisi del 2008 hanno inizialmente pesato sulla ripresa e più recentemente hanno invece contribuito a prolungarla. “All’inizio, l’esigenza di aggiustare i bilanci delle banche e di introdurre una nuova regolamentazione ha ostacolato la creazione di capitale e la capacità e volontà delle banche di concedere prestiti. Per controbilanciare questo fenomeno le Banche centrali, come Fed e BCE, hanno tagliato i tassi di interesse finché hanno potuto, prima di ricorrere agli acquisti non convenzionali di asset, volti a incentivare la concessione di credito e la ripresa economica”, spiega il country manager.

Le conseguenze di questa decisione sono state diverse. “In primis, una maggiore liquidità sui mercati che ha spinto gli investitori alla ricerca di asset di rischio. In secondo luogo, un calo dei tassi e dei premi al rischio che, a sua volta, ha ridotto il costo del capitale, incoraggiando le aziende a richiedere credito, e ha ridotto anche il tasso interno di rendimento (IRR) degli investimenti in capitale”, sottolinea Verdecanna. I rendimenti più contenuti degli asset e la ridotta capacità delle banche di offrire finanziamenti hanno incoraggiato gli investitori a trovare altre modalità di finanziamento, ad esempio attraverso i mercati del credito privato e il credito diretto. Con la creazione di questi nuovi canali di prestito, la disponibilità di credito è migliorata nuovamente, contribuendo a estendere il ciclo. “Molti di questi fattori strutturali hanno iniziato a subire un’inversione e potrebbero diventare ora dei venti contrari. Tuttavia, man mano che la loro rilevanza diminuirà, ci aspettiamo che i fattori ciclici ‘normali’ esercitino una maggiore influenza sulla disponibilità di credito”, spiega l’esperto.

Fattori ciclici

Negli Stati Uniti la disponibilità di credito, su cui la Fed ha agito nell’ultimo decennio, ha comportato un aumento significativo del debito sui mercati, nonostante il Paese si trovi da qualche tempo in una fase di inasprimento della politica monetaria. Tuttavia, alcuni degli indicatori ciclici (riportati nell’infografica) ora stanno iniziando a lampeggiare in rosso, il che fa pensare che il ciclo del credito si trovi nelle fasi finali. “Le metriche relative al credito segnalano un solido incremento della crescita dei ricavi, mentre i margini di profitto stanno raggiungendo i picchi ciclici. Gli indicatori di sentiment segnalano un continuo ottimismo, sommato a un incremento delle spese in conto capitale per la prima volta da diversi anni. Eppure le aziende sembrano aver ipotecato i loro bilanci per spingere le loro valutazioni azionarie fino a questo punto. Una volta esaurita la corsa delle riforme fiscali, potrebbero dover lottare per mantenere le valutazioni ai livelli attuali”, commenta Verdecanna.

Grazie alla corsa globale ai rendimenti in uno scenario di tassi bassi, la disponibilità di credito negli Stati Uniti per gli emittenti è stata ampia e ha contribuito a indebolire le protezioni degli investitori. Mentre la mancanza di un significativo ciclo di leveraged buyout (LBO) abbinato a un mini-ciclo di materie prime ha mitigato gli eccessi nell'universo high yield, l'indebitamento all'interno delle società investment grade è rimasto ostinatamente alto, spinto da una rapida crescita del debito per diversi anni. “Questo elevato livello di indebitamento ha lasciato le società più esposte a un rallentamento generale dell'economia o a una ripresa dell'inflazione, che potrebbe innescare tassi di interesse più elevati. Come sempre in questa fase del ciclo, alcune aziende e settori sono più a rischio di altri, creando opportunità per investitori selettivi del credito”, sottolinea il responsabile.

Per riassumere, Verdecanna sostiene “che i driver ciclici fondamentali stiano subentrando a quelli strutturali come fattori determinanti in questa fase del ciclo. I fattori strutturali sono diminuiti nel tempo diventando, in alcuni casi, un freno alla crescita, ma il quadro è complicato dai recenti tagli delle tasse e da una certa deregolamentazione del sistema bancario. Ci aspettiamo che questi ultimi elementi contribuiranno a estendere il ciclo per un certo periodo, ma anche a introdurre il rischio che la prossima recessione possa essere più grave quando alla fine arriverà”. Di conseguenza, anche se non è necessario essere eccessivamente prudenti a breve termine, l’esperto ritiene che valga la pena prendere in considerazione la possibilità di eliminare alcuni rischi dal tavolo nel medio termine e di concentrarsi sui nomi di qualità più elevata lungo tutto lo spettro del credito.