ETF ESG, i motivi della crescita da record

ESG1025
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Secondo i dati Morningstar nel 2021 il mercato europeo degli ETF ha registrato una raccolta record di 161 miliardi di euro, in crescita del 56% rispetto al 2020. Il patrimonio ha sfondato per la prima volta la soglia di 1,4 mila miliardi, crescendo del 34% su base annua e il dato più evidente è quello che riguarda i fattori ESG. Nell’intero anno oltre la metà della raccolta (82 miliardi di euro), in aumento del 40% rispetto al 2020, ha riguardato ETF e fondi indicizzati sostenibili. Solo nel quarto trimestre il dato è del 73%. Anche se i numeri della gestione passiva sono ancora contenuti rispetto alle cifre record della gestione attiva (secondo Bloomber nel 2022 nel mondo gli asset Esg supereranno i 41 mila miliardi di dollari e i 50 mila miliardi nel 2025), i tassi di crescita sono notevoli. Ma quali sono i motivi di questo boom? Lo abbiamo chiesto ai protagonisti dell'industria.

Evoluzione ESG

Sabrina Principi
Sabrina Principi

“Gli investimenti ESG continuano a riscuotere successo e a catturare l’interesse degli investitori”, chiarisce Sabrina Principi, head of Business Development ETF & Index Solutions di BNP Paribas Asset Management per il Sud Europa. “Il 2020 è stato un anno dirompente sul fronte dell’attenzione per la sostenibilità, e al tempo stesso un banco di prova in termine di stress test per queste strategie. Nel 2021 abbiamo assistito ad una naturale evoluzione: se prima l’investitore finale aveva solo la consapevolezza dell’importanza dei fattori ambientali, sociali e di governance all’interno del suo portafoglio, oggi vuole essere lui stesso parte attiva del cambiamento”. Ma come si rende possibile questo coinvolgimento quando si gioca sul campo della gestione passiva? Prosegue Principi: “In primo luogo è importante scegliere ETF provider che svolgano un ruolo attivo per tutto ciò che riguarda le attività di stewardship, engagement e voting right. La sola selezione di un indice sostenibile è condizione necessaria ma non sufficiente”. Nel caso di BNP Paribas Asset Management questo vuol dire poter disporre di un centro di ricerca interno che analizza gli investimenti sostenibili sia per la gestione attiva che per quella passiva. “Molti provider, noi inclusi, stanno mettendo il focus sugli ETF PAB (Paris Aligned Benchmark), cioè ETF che adottano indici in linea con gli obiettivi della COP 21. Questi sono concentrati sul fattore E e richiedono una riduzione del 50% della carbon intensity rispetto all'universo investibile, una reportistica stringente sulle emissioni, una decarbonizzazione del 7% annua e una rigorosa selezione in ambito energetico. Vorrei inoltre sottolineare”, aggiunge Principi, “che anche sul fronte passivo la componente tematica sta svolgendo un ruolo fondamentale nell’avvicinare gli investitori agli investimenti sostenibili: essa infatti consente di collegare in modo più evidente e diretto le opportunità d’investimento alle grandi sfide che abbiamo davanti.”

Attivo in aiuto di passivo

Franco Rossetti
Franco Rossetti

Conferma l’importanza dell’aiuto che in questo frangente “la parte attiva può dare alla passiva” Franco Rossetti, ETF senior Relationship manager di Invesco: “L’active ownership è fondamentale. Per promuovere il cambiamento serve che chi è attivo, cioè chi compra direttamente e partecipa alle assemblee delle società in cui si fanno gli investimenti, faccia promozione per cambiare, che voti le delibere corrette in ottica di sostenibilità e si opponga invece a quelle che vanno nella direzione sbagliata”. Purtroppo però la confusione che ancora persiste a livello normativo non aiuta, e stare al passo con i diversi standard ESG che vengono adottati nel mondo (anche solo a livello europeo), non è facile. È notizia della prima settimana di febbraio che l’ESMA ha deciso di aprire una consultazione proprio con l’obiettivo di raccogliere informazioni sulle dimensioni e la composizione del sistema dei rating ESG in Europa. Prosegue Rossetti: “Quello che abbiamo notato come Invesco, grazie a partnership con clienti fund buyer, casse pensionistiche e fondi pensione, è che anche in quel campo ognuno cerca di fare affidamento a un team interno per poter fare scelte proprie. A prescindere dal fatto che i prodotti lanciati siano articolo 8 o 9 per la normativa SFDR, c'è sempre un team di valutazione che valuta queste scelte pensando all’ottica dell’investitore finale. Questo è importante perché il cambiamento va fatto bottom up e il gestore deve sapere esattamente cosa compra”.

Parola chiave: diversificazione

Diana Lazzati
Diana Lazzati

“Di solito si pensa che l’investitore passivo sia passivo anche come azionista”, rilancia Diana Lazzati, senior Sales Executive di Vanguard. “In realtà questo tipo di investitore, proprio per sua natura, è quello che rende ancora più importante la G di governance, perché è investito in una società in ottica di lunghissimo periodo, e lo rimane finché il titolo non esce dall'indice”. L'orizzonte temporale è quindi potenzialmente infinito. Vanguard cerca di essere “proprietario attivo di investimenti passivi”, prosegue Lazzati: “Noi non disinvestiamo dalle aziende che non fanno quello che noi riteniamo più valido a livello di sostenibilità, però le accompagniamo in un percorso di miglioramento. La stewardship non è tanto un adeguamento dell'industria passiva ai temi ESG ma qualcosa di connaturato al mondo degli investimenti in generale. Per Vanguard le linee guida per i prodotti ESG sono le stesse che per i prodotti non ESG: diversificazione, costi bassi, trasparenza. L'obiettivo dell'investitore ESG”, conclude”, “è quello di avere un prodotto che riproduca il beta di mercato attraverso la diversificazione e non un'eccessiva concentrazione in pochi nomi, e allo stesso tempo un prodotto che non dia brutte sorprese”. 

Obiettivo SFDR

Salvatore Catalano
Salvatore Catalano

Il punto di partenza per molti ETF provider rimane comunque quello di adeguare i proprio prodotti già esistenti ai criteri di sostenibilità. Spiega Salvatore Catalano, responsabile per l’Italia di VanEck: “In Vaneck stiamo lavorando sui nostri ETF e sugli indici sottostanti, cercando di renderli dove possibile articolo 8 o articolo 9”. Come si realizza questo processo? “Prendiamo ad esempio un ETF Global Equity e il suo corrispettivo ESG, un ETF Sustainable World. Quello che abbiamo fatto in questo caso è stato chiudere il primo ed includerlo nella versione sostenibile dello stesso azionario globale. Lo stesso discorso vale per il lancio dei nuovi prodotti, cerchiamo renderli il più ESG possibile già in partenza”. Ci sono però prodotti che puntano su settori più difficili da trasformare in direzione SFDR, come quello dell’industria mineraria, che include le società del settore primario che si occupano dell’estrazione e della trasformazione delle materie prime minerarie. Prosegue Catalano: “Anche questi settori si stanno muovendo nella direzione della sostenibilità, le società minerarie - più nello specifico le classiche large cap- sono consapevoli del loro impatto e cercano di produrre benessere al sistema socio economico che le circonda. Recenti ricerche hanno evidenziato l'importanza delle materie prime per lo sviluppo delle nuove tecnologie green e per questo crediamo che proprio questi elementi saranno indispensabili in futuro per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità.

Fee competitive

Anna Paola Marchi
Anna Paola Marchi

Concludiamo la tavola rotonda con un tema caro all’industria della gestione passiva, quello dei costi. Anna Paola Marchi, director di Credit Suisse Asset Management spiega: “Il trend dell’ESG si è indubbiamente tradotto anche in un’offerta commerciale di prodotti che vanno in questa direzione. Va però precisato che il filtro ESG non impone maggiori costi di gestione. Ricerche indipendenti”, prosegue Anna Paola Marchi, “mostrano come gli strumenti ESG non presentino fee premium rispetto ai corrispettivi strumenti non ESG, comparabili per macro asset class. Anzi, in alcuni casi i costi arrivano ad essere più bassi perché gli strumenti non ESG spesso sono prodotti più vecchi in fatto di data di emissione e per i quali non è ancora stato realizzato un adeguamento dei prezzi. Fatta eccezione quindi per i costi delle licenze legate agli indici ESG che possono essere talvolta più care, il costo complessivo dei prodotti non viene intaccato da maggiori costi di gestione”.