A preoccupare ora è l’estrema polarizzazione dei mercati azionari

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foto: autor www.arbeschende.it, Flickr, creative commons

La crescita globale è asfittica tanto che il FMI prevede una crescita del 3,4% quest’anno, dopo il 3,3% del triennio precedente. Ma le economie sviluppate restano i driver e qualcosa dovrebbe migliorare verso la fine dell’anno. Il rallentamento in atto in Cina fa parte di un graduale processo in corso (strutturale) che viene da crescenti preoccupazioni e incertezze a causa di mancanza di informazioni attendibili o difficoltà di valutare correttamente la situazione e le prospettive, le dimensioni e l’importanza dell’economia cinese oggi e il crescente livello di indebitamento, sia in termini assoluti sia, più preoccupante, in rapporto al PIL. Parola di Adrien Pichoud che tratteggia la visione macro del Strategic Committee del gruppo Banque Syz.

“In termini di aspettative sulla crescita economica, la zona meno fosca è l’Europa, soprattutto nei paesi periferici con un rialzo prossima al 2% previsto e il Giappone (grazie al rilancio dell’economia nazionale a seguito di una riforma sulla tassazione). Siamo sottopesati sugli Stati Uniti, sono deludenti (soprattutto capex e le multinazionali a causa dei prezzi più bassi del rapporto petrolio-dollaro) così come sui mercati emergenti. Le preoccupazioni per il rallentamento della crescita globale sono cresciute sulla scia del forte sell-off di materie prime. Per la prima volta da più di un decennio (escluso l’arco 2008-09), la crescita del commercio mondiale dovrebbe essere inferiore alla crescita economica mondiale: si tratta di una conseguenza della fine della globalizzazione o solo del boom delle materie prime? Un esempio di un più serio rallentamento di Cina e emrgenti? L’economia degli Stati Uniti che forse si sta indebolendo davvero?”, continua. Sta di fatto che la Fed ora ha bisogno di normalizzare la politica monetaria e mantenere un pò di credibilità.

E dal punto di vista dell’asset allocation? “Restiamo positivi su un orizzonte temporale di 3-6 mesi con le seguenti posizioni chiave: le azioni dovrebbero continuare a sovraperformare le obbligazioni. Preferiamo i mercati azionari sviluppati, in particolare Giappone e Europa e sottopesiamo gli emergenti, soprattutto l’America Latina. I risultati delle aziende nel secondo trimestre sono stati generalmente in linea o leggermente migliori rispetto al consenso. Tuttavia, la crescita degli utili degli Stati Uniti è da piatta a negativa, l’Europa è positiva ma è stata rivista al ribasso, mentre il Giappone è l'unico luogo dove la crescita degli utili è positiva ed è stato rivista al rialzo nel corso degli ultimi mesi”. E continua: “ci sono magri rendimenti attesi sul fronte del fixed income. Dopo il grande calo di maggio-giugno, la prospettiva sulle obbligazioni è notevolmente migliorata con maggiori rendimenti, un rischio di inflazione più basso mentre è più alto quello della deflazione, a causa del rallentamento cinese, i rischi di una più significativa svalutazione del CNY mentre sono diminuite le probabilità di un aumento dei tassi della Fed a settembre”.

Ma quali sono le preoccupazioni attuali? Afferma l’esperto: “la polarizzazione estrema dei mercati azionari, tra i titoli value e growth, tra le aziende europee esposte ai mercati emergenti e quelle non, tra quelle che soffrono del dollaro forte e le altre, vincitori e vinti dai prezzi dell’energia più bassi”. Infine, “la reazione dei mercati alle mosse della Fed di metà settembre. Non ci aspettiamo grandi cambiamenti nelle prospettive economiche e sull’inflazione nel corso delle prossime settimane. Sta di fatto che è difficile scommettere su un rally azionario ma non è il caso di allarmarsi per i continui cambiamenti di tendenza che si faranno avanti nei prossimi tempi”. La conclusion? “Aspettare, vedere e poi agire di conseguenza”, conclude.