Un acronimo che racconta di un programma in 4 fasi per ristrutturare il debito. AcomeA SGR e la Fondazione Corriere della Sera hanno aperto un tavolo di discussione sui problemi dell’Eurozona e il suo bisogno di riforme strutturali.
L’Italia in questo ha trattato il suo assenso per la composizione della nuova Commissione anche chiedendo più flessibilità sul percorso di rientro del debito pubblico. E ora che, dopo ore di intense trattative, l’intesa è stata trovata con Jean Claude Juncker alla presidenza della Commissione Ue, dalle ultime bozze dell’agenda Van Rompuy è emerso proprio un richiamo alla flessibilità, secondo la quale si invita a “farne il miglior uso”. Ora la richiesta è di prestare “particolare attenzione” alle riforme strutturali che “rafforzano la crescita e la sostenibilità” della finanza pubblica nell’ambito delle valutazioni delle manovre di bilancio.
E cosa dire dell’Italia, il cui debito pubblico ha raggiunto ben 2.100 miliardi di euro? A discutere di sostenibilità del debito pubblico ci hanno pensato la società di gestione del risparmio presieduta da Alberto Foà, AcomeA sgr, e la Fondazione Corriere della Sera, riunendo intorno a un tavolo un panel di esperti di alto profilo. Sono intervenuti Paolo Manasse (macroeconomista dell’Università di Bologna), Charles Wyplosz (docente del Graduate institute of International development studies di Ginevra), George Papaconstantinou (all’apice della crisi ministro dell’Economia della Grecia che nel 2012 fu il primo paese dell’Ue a dichiarare un parziale default), Guido Tabellini (già rettore della Bocconi) e Lucrezia Reichlin (già capoeconomista della Bce, fino al febbraio scorso candidata al ruolo di ministro dell’Economia nel governo Renzi e successivamente in lizza per i vertici della Bank of England).
Quest’ultima è stata una delle prime a rompere il tabù del ‘default controllato’. Secondo Wyplosz, l’unica via d’uscita potrebbe essere un progetto che si chiama Padre, acronimo per Politically acceptable debt restructuring in the eurozone, ovvero una ristrutturazione del debito della zona euro politicamente accettabile dove attraverso una serie di passaggi finanziari sul mercato il rimborso del debito verrebbe finanziato da un’agenzia preposta in cambio dell’emissione di un’obbligazione irredimibile (titolo obbligazionario con la caratteristica di pagare una cedola periodica ma che non rimborserà mai il capitale, ndr) e dove la stessa agenzia trarrebbe le risorse dai proventi della Bce. Nel dettaglio, un’agenzia acquista al valore nominale una quota del debito pubblico esistente di ciascun paese europeo corrispondente ai profitti che riceve dalla Bce (il 17,84% per l’Italia, il 20,42% per la Francia, il 26,86% per la Germania, il 2,79% per la Grecia, il 5,68% per l’Olanda, l’1,78% per la Finlandia) e lo scambia con bond a tasso zero senza scadenza. Il nostro debito, in questo caso, scenderebbe di botto dal 133,7% all’80,6%.
In altre parole, si accettano proposte dato che, oggi come oggi, dopo la crisi finanziaria e l’esplosione dei debiti pubblici, il tema non è più rinviabile. “Bisogna risolvere il problema dello stock di debito accumulato ma non solo a livello nazionale. A questo punto è necessario aprire un tavolo di discussione su scala europea. Bisogna parlare della riforma dell’Europa, con nuove regole per la futura architettura del continente, in un dibattito concreto e separato dal problema del debito che ci portiamo dietro”, ha fatto sapere Lucrezia Reichlin della London School of Economics di Londra. Per Tabellini, il vero problema pr quanto riguarda l’Italia, è “come rilanciare la crescita”. Secondo l’esperto una ristrutturazione del debito non farebbe altro che penalizzarla ulteriormente. E fa, sapere, “al limite, meglio uscire dall’euro anche se è un’ipotesi remota”. Aggiunge Roberto Brasca, vice presidente di Acome sgr: “non sono per la ristrutturazione del debito. Penso che noi, in tempi di crescita anemica e bassa inflazione, dobbiamo dare avvio, e anche in fretta, a delle riforme strutturali importanti, a cominciare dal mercato del lavoro fino al sistema fiscale. La politica deve facilitare l’esercizio del fare impresa per dare quel recupero di produttività che consentirebbe di riequilibrare i conti e di recuperare fiducia”. Il dibattito è aperto.