Banche italiane: molto rumore per nulla?

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foto: Assillo, Flickr, Creative Commons

A Bruxelles si discute ancora. Da una parte c'è la modifica del sistema di risoluzione interna delle crisi bancarie, dall'altra un accordo sul terzo pilastro dell’Unione bancaria, la garanzia sui depositi. Non sono tempi facili per nessuno, soprattutto per i risparmiatori. Per capirlo, basta osservare le nuove tempeste che investono i mercati finanziari dopo una crisi infinita in corso dal 2008. Oppure le conseguenze dell'insolvenza di alcune banche, i cui bond subordinati sono caduti sotto la tagliola delle nuove regole sui salvataggi “interni” (bail-in). "La crisi di fiducia generale che ha investito i listini, ha colpito in modo particolare i titoli bancari: da inizio anno l’indice delle banche europee ha segnato -31%, Deutsche Bank ha perso -40% e Unicredit ha raggiunto -45%. Allo stesso tempo le valutazioni delle banche USA e giapponesi sono vicine ai livelli minimi mai visti", ricorda Fausto Artoni, portfolio manager di Azimut.

Da settimane a Piazza Affari il FTSE MIB ha chiuso più volte in negativo, zavorrato dallo scivolone finale delle banche. Ieri invece le luci verdi hanno brillato. E nel rialzo diffuso hanno corso anche i bancari, soprattutto su MPS e le popolari. Ma già da domani chissà si potrebbe tornare in terreno negativo: le banche continuano ad essere sull'occhio del ciclone e sono trattati "a livelli simili a quelli delle crisi 2008/2011". Secondo Artone però c'è da fare un distinguo: "il problema dei titoli tossici (scoppiato nel 2008) ha riguardato soprattutto le banche tedesche per le quali sono stati necessari interventi pubblici per oltre 250 miliardi di euro. Le banche italiane, invece, oggi soffrono per le conseguenze derivanti dai sette anni continuativi di recessione che hanno prodotto un aumento delle sofferenze tale da incidere in modo sistemico sui conti e la solidità degli istituti", chiarisce. E la preoccupazione si è accentuata poi, con l'introduzione del bail-in. E per questo che il gestore a gennaio ha preferito ridurre la posizione sul settore bancario nel fondo Azimut Trend Italia, posizione poi riportata vicino alla neutralità negli ultimi giorni. 

Sistema Italia: una lettura troppo negativa

A parlar con Gilles Gibout, gestore del fondo AXA WF Framlington Italy, la paura che si è concentrata sui bancari italiani è invece del tutto ingiustificata. Basta dare un'occhiata al suo portafoglio per capire quanto, secondo lui, le banche italiane siano interessanti. Tra le prime dieci posizioni di maggior peso nel suo fondo azionario esposto all'Italia ci sono almeno cinque titoli finanziari, il primo con un peso del 7,96% è Unicredit. Il secondo Intesa San Paolo con un 7.91%. "Per me, le banche italiane sono attraenti. Se si è positivi sul mercato europeo, allora potrebbe essere interessante essere sovraesposti in Italia, perché a causa della sua struttura interna, l'Italia è come un mini zona euro, ma con più beta. Se si osserva il comportamento del mercato italiano negli ultimi due anni, si può notare come l'indice amplifica sempre i movimenti del EuroStoxx 50, sia al rialzo che al ribasso".

È vero, dice il gestore di Axa IM, che "le banche italiane hanno tardato ad ammettere di avere problemi, ma quando l'hanno fatto hanno cominciato ad aumentare il capitale. Il problema è che questo mercato è molto frammentato. In Italia si possono contare circa 700 banche, una cifra esagerata". Un mercato, che secondo il gestore è stato frammentato per specifici interessi di alcune banche. Se la fusione verrà completata, le banche potrebbero aumentare la loro redditività, grazie ad una riduzione dei costi e a una minore concorrenza sul mercato locale. "La domanda che deve farsi l'investitore è se il prezzo attuale è ragionevole e se già rispecchia o meno il prezzo di questa fusione", conclude Gibout.

Anche secondo Pierluca Beltramelli, responsabile comparto flessibili, total return e developed markets di Alletti Gestielle SGR, gli investitori hanno reagito con eccessivo panico. "Il principale elemento di incertezza è stato il grado di copertura delle sofferenze su cui il piano di risoluzione si è basato. È stato richiesto un grado di coperture all’82,5% rispetto ad una copertura media delle sofferenze del settore al 59%. Gli investitori hanno preso questo dato come elemento da applicare su tutte le banche italiane e lo “stress test” conseguente porterebbe il sistema ad avere deficit di capitale consistenti. Questa lettura è secondo noi troppo negativa e non sussistono i presupposti perché sia applicata alle banche quotate", dice il manager.

"Rispetto ad altre situazioni di stress come nel 2011 o nel 2008 oggi anche il mercato interbancario non segnala pressioni negative; lo spread Euribor-Ois nonostante tutte le recenti incertezze è a 15 bp contro i 100 bp del 2011 o i 200 bp del periodo 2008-09. Lo stress sulla liquidità è stato uno dei principali elementi per cui si possa arrivare ad una situazione di rischio sistemico all’interno del settore finanziario. Dal lato italiano anche i trend sui depositi di gennaio indicano che non siamo in presenza di un banking run, nonostante il timore del bail-in e la tempesta borsistica la raccolta complessiva delle banche è salita di 8 bln con uno spaccato che evidenzia un aumento di 18 bln di depositi contro un calo della raccolta obbligazionaria di circa 10 bln". E i crediti deteriorati? Per Beltramelli non è certo un elemento nuovo. "I flussi di nuove sofferenze sono in calo netto e quindi la crescita dello stock sta rallentando. Questo elemento unito ad una ripresa economica porterà i crediti deteriorati verso un picco nel corso del 2016 per poi iniziare una fase di graduale riduzione".