Benvenuti nel G-zero. Parola di Ian Bremmer

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Una delle prime cose che confessa Ian Bremmer è che al Forum economico mondiale di Davos non si è parlato granché della quarta rivoluzione industriale, come da agenda. Bensì di geopolitica: o meglio di come gli investitori dovrebbero studiare di più il contesto mondiale, evitando di creare o incentivare il panico dei mercati. Bremmer, presidente e fondatore del think-thank di politica internazionale Eurasia Group traccia i rischi che potrebbero condizionare il 2016 e non solo, in un incontro organizzato da Kairos, il gruppo guidato da Paolo Basilico. Nella sede di Milano della società di gestione chiarisce subito tre cose: alla crisi cinese si è reagito in maniera "esagerata"; alle prossime elezioni USA, qualunque sia il vincitore, i grandi investitori non daranno peso e in merito alla bomba all'idrogeno della Corea de Nord, che è pesata sui listini, si è trattato di un fuoco di paglia.

"Non sono questi i veri fronti geopolitici per i mercati". Anzi, per il professore della New York University chi conosce la situazione globale compra. "Il rischio più urgente arriva invece dalla situazione europea e dal Medio Oriente. L'instabilità del Medio Oriente in Europa non si può comprare sui mercati". Siamo di fronte ad un "mondo G-zero", spiega Bremmer: dove zero sta per niente leadership forti e alti rischi geopolitici, ma con le dovute distinzioni. Le preoccupazioni del politologo ricadono tutte sul Medio Oriente, ma anche sull'Europa. Cina, Giappone e USA invece non ne saranno influenzate. "Vedremo un grande rischio che deriva da una distruzione creativa di tipo geo-politico, ma non c'è un rischio globale. Manca una leadership che risponda a questo rischio", spiega, aggiungendo, appunto, che siamo di fronte alle fine del G7 o del G20.

Fine del vecchio ordine. Se l'Europa (alle prese con la debolezza di Schengen, i populismi in crescita, il Brexit - cosa improbabile - e il Grexit - cosa più probabile) e gli Stati Uniti (che non hanno più una visione chiara) attraversano una crisi d'identità, il Medio Oriente si frantuma: ai problemi della Siria, ad esempio, nessuno riesce a dare una risposta. E l'impatto sui quei mercati, sostiene Bremmer, sarà più negativo. 

L'Asia invece sta relativamente meglio, secondo il politologo, anche perché ha forti leader. "Mi piace molto la crescita in India e Indonesia, ma anche l'economia del Giappone, stabile e flessibile". E la Cina? Per il professore il Paese asiatico sa bene quello che fa: il suo è un "mercato politico". "Tutte le preoccupazioni sono reali ma non per quest'anno, sono più a lungo termine. Il mercato ha reagito in maniera esagerata".